di  Sergio Bedessi  – Con legge 24 marzo 2012, n. 27, è stato convertito in legge il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività); fra le varie cose, l’articolo 5 della legge in questione aggiunge un articolo 37 bis al codice del consumo, articolo che recita come segue.
«Art. 5 (Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie). – 1. Al codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, dopo l’articolo 37 è inserito il seguente:
“Art. 37-bis (Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie).
1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, sentite le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale e le camere di commercio interessate o loro unioni, d’ufficio o su denuncia, ai soli fini di cui ai commi successivi, dichiara la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari. Si applicano le disposizioni previste dall’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, secondo le modalità previste dal regolamento di cui al comma 5. In caso di inottemperanza, a quanto disposto dall’Autorità ai sensi dell’articolo 14, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 20.000 euro. Qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 euro a 40.000 euro.
2. Il provvedimento che accerta la vessatorietà della clausola è diffuso anche per estratto mediante pubblicazione su apposita sezione del sito internet istituzionale dell’Autorità, sul sito dell’operatore che adotta la clausola ritenuta vessatoria e mediante ogni altro mezzo ritenuto opportuno in relazione all’esigenza di informare compiutamente i consumatori a cura e spese dell’operatore. In caso di inottemperanza alle disposizioni di cui al presente comma, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro.
3. Le imprese interessate hanno facoltà di interpellare preventivamente l’Autorità in merito alla vessatorietà delle clausole che intendono utilizzare nei rapporti commerciali con i consumatori secondo le modalità previste dal regolamento di cui al comma 5. L’Autorità si pronuncia sull’interpello entro il termine di centoventi giorni dalla richiesta, salvo che le informazioni fornite risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere. Le clausole non ritenute vessatorie a seguito di interpello non possono essere successivamente valutate dall’Autorità per gli effetti di cui al comma 2. Resta in ogni caso ferma la responsabilità dei professionisti nei confronti dei consumatori.
4. In. materia di tutela giurisdizionale, contro gli atti dell’Autorità, adottati in applicazione del presente articolo, è competente il giudice amministrativo. E’ fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario sulla validità delle clausole vessatorie e sul risarcimento del danno.
5. L’Autorità, con proprio regolamento, disciplina la procedura istruttoria in modo da garantire il contraddittorio e l’accesso agli atti, nel rispetto dei legittimi motivi di riservatezza. Con lo stesso regolamento l’Autorità disciplina le modalità di consultazione con le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale e con le camere di commercio interessate o loro unioni attraverso l’apposita sezione del sito internet di cui al comma 2 nonché la procedura di interpello. Nell’esercizio delle competenze di cui al presente articolo, l’Autorità può sentire le autorità di regolazione o vigilanza dei settori in cui i professionisti interessati operano, nonché le camere di commercio interessate o le loro unioni.
6. Le attività di cui al presente articolo sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente.”».
Cosa significa?
In pratica la nuova norma sembra predisporre una diversa tutela, rispetto a ciò che era possibile fino ad oggi, in caso di clausole vessatorie per il consumatore; notiamo in seguito che, malgrado l’enfasi utilizzata dal legislatore, lo strumento è uno strumento spuntato.
Ma, prima di tutto, cosa sono le clausole vessatorie?
Si considerano “vessatorie” le clausole di un contratto che risultano squilibrate per una delle due parti.
Le clausole vessatorie si ritrovano principalmente nei contratti per adesione, che sono quelli che si stipulano con le banche, con le assicurazioni, con le società di telefonia, in genere in quei contratti dove qualcuno offre certi servizi a condizioni già predeterminate e dove l’utente non può fare altro che aderire con sottoscrizione, senza modificare niente nel contratto.
Le “clausole vessatorie” sono particolari condizioni squilibrate a favore di uno dei contraenti (ovviamente quello che offre il servizio dietro il corrispettivo di un pagamento) che si trova quindi in posizione di supremazia rispetto all’altro; in genere si tratta di limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere unilateralmente dal contratto o di sospenderne unilateralmente l’esecuzione, limitazioni alla facoltà dell’utente del servizio di opporre eccezioni, possibilità di decadenza del contratto a particolari ed unilaterali condizioni, rinnovazioni tacite del periodo contrattuale, deroghe di competenza della autorità giudiziaria che normalmente sarebbe preposta a decidere su eventuali controversie contrattuali, ed altre ancora.
La disciplina generale in materia, costituita dal cosiddetto “codice del consumo”, D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, stabilisce che le condizioni che sbilanciano il rapporto verso una delle due parti sono efficaci nei confronti dell’altra solamente se al momento della conclusione del contratto vi è la chiara e certa conoscenza di tali clausole e dunque le clausole definite “vessatorie” non sono valide se non sono approvate specificamente, e per iscritto; è per questo che ormai tutti i contratti di questo tipo separano tali clausole dal corpo del contratto, oppure le replicano in fondo, chiedendo una apposita firma.
Lo stesso codice del consumo prevedeva alcune tutele che adesso la nuova norma sulle liberalizzazioni (legge 27/2012) va a modificare.
Fino ad ora il consumatore poteva tutelarsi in due modi: ricorrendo al giudice ordinario, che avrebbe potuto dichiarare, su istanza del consumatore, la nullità totale o parziale delle clausole vessatorie, oppure anche tramite la cosiddetta class-action, un’azione promossa da gruppi di persone, normalmente riuniti in qualche associazione di consumatori.
Nel primo caso però la sentenza avrebbe avuto valore solo fra le due parti (il singolo e l’azienda); in pratica un altro consumatore che avesse incontrato lo stesso problema avrebbe dovuto nuovamente rivolgersi al giudice per ottenere ragione in quanto la precedente sentenza non si sarebbe applicata erga omnes.
Nel secondo caso la sentenza avrebbe avuto valore non solo per tutte le posizioni rappresentate dal promotore della class-action, e quindi tutti i singoli riuniti nell’azione contro la controparte contrattuale, ma nel caso di azione promossa da associazione di consumatori questa, ai sensi dell’articolo 37 dello stesso codice del consumo, avrebbe potuto innescare la cosiddetta azione inibitoria, chiedendo dunque al giudice un provvedimento per impedire la riproposizione della clausola dichiarata vessatoria in ogni contratto futuro.
Purtroppo per ottenere questo l’associazione sarebbe dovuta risultare iscritta nel registro nazionale delle associazioni dei consumatori maggiormente rappresentative.
A questo punto la nuova norma affida all’Autorità garante della concorrenza e del mercato il compito di estendere il giudizio di vessatorietà di una clausola che può essere segnalata da chiunque, non solo da una associazione iscritta nell’elenco di quelle maggiormente rappresentative, ma anche da un qualsiasi cittadino.
La norma prevede che tale procedura possa addirittura essere innescata d’ufficio e che i provvedimenti che l’Autorità prende vengano messi on-line non solo sul web-site dell’Autorità stessa, ma anche sul web-site del proponente il contratto con clausole vessatorie, alla stessa stregua dei provvedimenti in materia di pubblicità ingannevole.
Per compiere il proprio lavoro l’Autorità potrà avvalersi dei poteri istruttori previsti dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), e dunque potrà richiedere informazioni e documenti, ordinare ispezioni, predisporre perizie ed infine irrogare sanzioni pecuniarie in caso di mancata ottemperanza alla richiesta di informazioni o documenti o qualora le informazioni o i documenti forniti non risultassero veritieri.
Interessante il fatto che le imprese, ai sensi del comma 3 della nuova norma, possono interpellare preventivamente l’Autorità per sapere se una clausola da loro inserita nei contratti è o meno vessatoria; in tal caso la dichiarazione di non vessatorietà inibisce successivi giudizi della stessa Autorità e quindi “blinderà” in qualche modo la clausola.
Certamente rimane al giudice ordinario la facoltà di giudicare autonomamente sul singolo caso, ma una precedente dichiarazione di non vessatorietà di una clausola, da parte dell’Autorità, indebolisce fortemente l’azione dell’utente.
Perché si è detto che si tratta comunque di uno strumento spuntato a tutela del consumatore?
Se si analizza il testo normativo questo non predispone alcuna sanzione, al di là della dichiarazione pubblica di “vessatorietà” della clausola, nei riguardi dell’azienda che abbia inserito tali clausole nei contratti; per paradosso, al di là della pubblicazione sul sito internet dell’Autorità e sul sito internet dell’azienda, l’azienda stessa potrebbe continuare nel proprio comportamento scorretto, riproponendo ancora la clausola vessatoria, senza incorrere in sanzioni finchè qualcuno non si rivolgesse al giudice.
In definitiva si sarebbe potuto fare molto meglio, modificando direttamente il codice del consumo, inserendo specifiche sanzioni per le aziende che vedessero riconosciuta una loro clausola come vessatoria e sanzioni ancor più pesanti che le aziende che, vista riconosciuta una clausola come vessatoria da parte dell’Autorità, continuassero ad inserirla nei loro contratti.