di Jacopo Zucchini – A noi di OrientePress piace individuare quando capita… sia per soddisfazione nostra che per quella dei nostri lettori quei  politici e amministratori che possiamo definire virtuosi, sia  per la condotta morale che per l’impegno profuso nei confronti del Paese e della comunità, qualche mese fa ne abbiamo trovato uno, adesso la seconda.
Serena Pellegrino, parlamentare di Sinistra Ecologia e Libertà che ho avuto la fortuna di  conoscere a Rieti in occasione del XII° Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura organizzato recentemente da Greenaccord.
Oggi Serena Pellegrino, vicepresidente VIII commissione Ambiente della Camera, è a Parigi, a Cop21, la Conferenza mondiale sul clima voluta dall’ONU.
Voglio riportare qui di seguito la sua posizione espressa nel corso del Forum:

” A parigi andiamo a contrattare!
La gravità della crisi climatica globale, gli scenari prospettati dall’ultimo rapporto dell’IPCC e da una lunga sequenza di altre evidenze scientifiche, come anche l’insostenibilità dei processi di produzione e distribuzione dell’energia, per via degli impatti che hanno avuto e continueranno ad avere nei prossimi decenni, soprattutto nelle regioni povere del pianeta, richiedono un’accelerazione della transizione verso un’economia verde e inclusiva.
L’ultima enciclica di Francesco afferma che «è prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni». All’inizio di marzo, uno studio pubblicato dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences dimostra come la reiterata siccità in Siria tra il 2008 e il 2010 (a cui è seguita una riduzione della produzione di frumento), causata dai cambiamenti climatici, sia all’origine del conflitto scoppiato nel Paese e alle migrazioni di parte di quel popolo.
L’Intergovernmental Panel on Climate Change ripete che occorre tagliare drasticamente l’attuale livello di uso di gas, petrolio e, soprattutto, carbone: tra il 40 e il 70% entro il 2050 e del 100% entro il 2100. Per cominciare, secondo l’IPCC, bisogna rimuovere gli aiuti governativi alla realizzazione di infrastrutture energetiche ad alti livelli di carbonio (incluse i pozzi e i gasdotti trans-continetali), poi bisognerà far pagare un prezzo per lo smaltimento di anidride carbonica e altri gas-serra in atmosfera. A maggio, secondo l’agenzia americana per gli oceani e l’atmosfera, la concentrazione d’anidride carbonica in atmosfera era di 404 ppm, ben al di sopra del livello di sicurezza (350 ppm) indicatodall’IPCC per stare entro il limite di sicurezza. La gravità della situazione climatica non consente di ricorrere a complicati meccanismi economici e di mercato che servono solo ai diversi paesi per sottrarsi agli impegni concreti di taglio ai gas-serra. Lo ha detto, in un passo sorprendentemente preciso, anche l’enciclica papale, quando rifiuta inequivocabilmente il commercio dei “crediti di carbonio” come una soluzione al problema del riscaldamento globale. Il Protocollo di Kyoto aveva introdotto, tra le opzioni per raggiungere gli impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra, un meccanismo di mercato, noto come Emissions Trading, che consente alle nazioni di scambiare quote di carbonio. L’enciclica sostiene che attraverso questo meccanismo di mercato si potrebbe dar luogo ad una nuova forma di speculazione e non si contribuirebbe a ridurre concretamente le emissioni globali di gas inquinanti”. Al contrario, sostiene il papa, questo meccanismo potrebbe contribuire a “sostenere il super-consumo di alcuni paesi e di alcuni settori”.
A Parigi, agli inizi di dicembre, si svolgerà la tanto attesa XXI sessione della conferenza dei Paesi che hanno sottoscritto la convenzione ONU sui cambiamenti climatici, nel tentativo di trovare un accordo globale per rispondere ai rischi del caos climatico.
Purtroppo gli attentati di Parigi, a pochi giorni dall’apertura della sessione ONU sui cambiamenti climatici (e, aggiungo, della grande marcia della pace che avrebbe visto la partecipazione di centinaia di migliaia di cittadini) non sono un bel preludio a un accordo globale multilaterale, che rischia ora di subire un nuovo stop e un clamoroso fallimento, dopo quello storico di
Copenhagen nel 2009.
Al summit sul clima del 2013 fu scelto di lasciare alle nazioni la facoltà di decidere, attraverso gli Intended Nationally Determined Contributions (INDC), in che misura si sarebbero volute impegnare per contenere l’effetto serra. Adesso che sono stati resi noti gli INDC, possiamo affermare che gli impegni ‘volontari’ manifestati dai Paesi non saranno sufficienti a contenere il riscaldamento entro i limiti indicati dall’IPCC, cioè di contenere il riscaldamento al di sotto dei due gradi centigradi della temperatura media globale rispetto ai livelli pre-industriali.
Fortunatamente, si vanno affermando processi di segno opposto, che nascono dal basso e coinvolgono le istituzioni locali. Come in fondo è giusto che sia.
I centri urbani ospitano attualmente circa 3,5 miliardi di persone, più della metà della popolazione mondiale attuale. I demografi stimano che questa popolazione possa superare i 5 miliardi nel 2030. I centri urbani sono anche i luoghi in cui si concentra la maggior parte delle attività economiche e dunque della maggior parte delle emissioni di gas-serra.
Nell’ultimo decennio l’impronta ecologica è cresciuta a dismisura. Le aree urbane sono anche i luoghi in cui sono più alti i rischi connessi ai cambiamenti climatici e ai disastri naturali.
Anche l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change riconosce ai governi locali una funzione sempre più importante nelle strategie di lotta ai cambiamenti climatici, sia per gli aspetti della mitigazione sia di adattamento.
Dagli anni Novanta in poi l’affermazione delle forze extra-governative, delle organizzazioni non-governative e delle organizzazioni transnazionali non-statali nel contesto della governance delle questioni ambientali globali e in particolare di quella climatica ha offuscato il ruolo dello stato e stemperato la capacità delle amministrazioni locali, producendo quella che alcuni analisti hanno definito una «crisi di ridondanza». Viceversa, negli ultimissimi anni si sta affermando una «urbanizzazione» del processo politico ambientale globale per via di una serie multipla di fattori. Le amministrazioni locali si trovano ora ad avere in mano gli strumenti necessari alla gestione delle emergenze per affrontare le questioni ambientali globali, inclusi i cambiamenti climatici.
I governi locali possono contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici nei settori dell’edilizia e delle opere pubbliche, intervenendo sull’efficienza di edifici, elettrodomestici e reti di distribuzione; sostenendo le fonti energetiche rinnovabili o a basso tenore di carbonio; agendo sulla consapevolezza e nei comportamenti degli abitanti. Le emissioni possono essere ridotte: agendo sul sistema dei trasporti all’interno della città e promuovendo la riconversione urbana (attraverso la pianificazione polifunzionale che accorci i tragitti, promuova gli spostamenti a piedi e in bicicletta e il riuso di edifici esistenti, il ripristino di aree ed edifici abbandonati). Un’area di particolare attenzione deve essere la periferia urbana, specialmente per via dell’elevata densità abitativa, dell’uso polivalente del territorio, la connettività e l’accessibilità. Altre misure di mitigazione includono la regolamentazione dell’uso del territorio  e l’adozione di tecnologie innovative e materiali di eco-design.
L’adattamento urbano offre opportunità per l’orientamento verso la resilienza e lo sviluppo sostenibile tramite , l’armonizzazione delle politiche, gli incentivi, il rafforzamento del governo locale, la capacità di adattamento della comunità, le sinergie con il settore privato, finanziamenti adeguati e appropriate scelte istituzionali.
Esistono una pluralità di approcci e sebbene gli approcci top-down e bottom-up siano ampiamente riconosciuti, in pratica l’adattamento comporta la combinazione di entrambi. I governi locali possono svolgere un ruolo centrale nell’affrontare le sfide della pianificazione in funzione dell’adattamento attraverso una stretta collaborazione con il pubblico, i gruppi a basso reddito, le istituzioni e i settori privati.
In risposta all’aumento delle temperature, le città possono applicare strategie di bioclimatica urbana, tra cui aree a verde, corridoi di vento, tetti ricoperti di vegetazione, ecc. Ciò implica una migliore progettazione finalizzata alla mitigazione delle temperature elevate delle infrastrutture utilizzate da categorie sensibili come le scuole, gli ospedali, le cliniche per anziani.
La tipologia degli strumenti a disposizione va dai piani di gestione integrata, ai piani territoriali d’area vasta ed ai piani urbanistici con norme per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, alle Valutazioni Ambientali Strategiche, al Regolamento Urbanistico, ai piani di mobilità, agli accordi volontari di partnership pubblico-privato per favorire il passaggio a una economia locale a ridotto impiego di combustibili fossili, e ad altri strumenti come quello principe che è il Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile
A questo deve aggiungersi necessariamente un processo di educazione dei cittadini ai cambiamenti climatici che li coinvolga il più possibile nel processo decisionale, anche attraverso la promozione di progetti di citizen science.
La scienza dell’adattamento è ancora nelle prime fasi di sviluppo e oggettivamente esistono dei gap scientifici che vanno riempiti. Come decisori politici necessitiamo di soluzioni adeguate, compatibili con le risorse finanziarie disponibili e con le tradizioni, accettate dalle comunità anche in considerazione dei maggior costi che comporterebbe l’inazione.
La comunità scientifica deve sostenerli nell’identificazione delle vulnerabilità, fornendo gli strumenti per l’individuazione di barriere alle misure di adattamento.
C’è bisogno di valorizzare e integrare le iniziative che nascono dal basso, spontanee, sia di critica sia di proposta e di soluzione. Molti hanno concordato sull’importanza delle buone e delle nuove pratiche, delle storie di successo sul terreno della mitigazione e dell’adattamento, nel settore industriale, energetico, ma anche del settore agricolo, del turismo e degli altri settori produttivi, della ricerca e dell’innovazione. Queste storie devono costituire la base del cambiamento, di fronte all’inazione del governo e ancora più di fronte agli incentivi perversi delle politiche sull’energia, sui trasporti, sui rifiuti, sulla natura. Queste esperienze positive devono rappresentare il punto di partenze per gli amministratori locali e regionali che intendono agire contro il caos climatico. È stata avanzata la proposta di concepire una manifestazione evento, in cui presentare, scambiare le iniziative e i casi di successo. In questo quadro di progetti che, partendo dal basso, manifestano una rinnovata coscienza della situazione ambientale globale e che è possibile, e giusto, attivare iniziative che riescano a collegare e a concretizzare in un quadro più ampio queste nuove sensibilità.
Un modo diretto e concreto per salvare l’ambiente, il nostro Paese e, al tempo stesso, per salvare anche se stessi è il riconoscere, il riappropriarsi, dei sentimenti profondi di benessere e godimento che genera la bellezza.
Natura, paesaggio, arte e cultura determinano in maniera intensa la qualità della nostra vita.
Se vogliamo conservare e aumentare la nostra felicità, noi dobbiamo riconoscere e curare gli elementi naturali, paesistici, artistici e storici che ci permettono di inserirci in una tradizione di cui noi siamo parte e che, ma purtroppo soprattutto in Italia, non consideriamo perché la riteniamo come dato assunto.
Un modo diretto e concreto per salvare il Pianeta e, al tempo stesso, per salvare anche noi stessi, è necessario riappropriarsi della consapevolezza della bellezza che stimola emozioni profonde di felicità.
E’ questa una delle ragioni che mi hanno spinto a proporre una proposta di legge di modifica costituzionale che porti al riconoscimento della bellezza quale elemento costitutivo dell’identità nazionale di cui anche Greenaccord, l’associazione che ci ospita qui oggi, è tra i sostenitori.
Ritengo si utile e importante ripartire dal riconoscimento della bellezza e dalla sua valorizzazione anche per dare un futuro sostenibile e certo al nostro Paese.
Il riconoscimento della bellezza come valore fondamentale costituzionalmente protetto è un principio che solo l’Italia può pronunciare e che può utilmente trasmettere alle altre nazioni.
Abbiamo constatato che la felicità o i falsi miti del progresso e dello sviluppo non derivano dalla produzione e crescita di beni di consumo omologati e livellati verso il basso, ma nella valorizzazione dei processi creativi e conoscitivi.
Per superare la crisi ambientale globale, che è figlia dell’uso improprio e insensato delle risorse di Madre Terra, per opporsi alla globalizzazione e al declino culturale ed economico sappiamo che l’Italia può contare sull’unicità del suo territorio, sullo spessore della sua storia, sulla qualità della sua cultura, sulla grandezza delle sue produzioni artistiche, sul valore dei propri talenti e infine, su una rete di Enti locali la cui trama, fitta e preziosa è un’esperienza di prossimità unica nel suo genere.
Ripartiamo dalla bellezza, da questo patrimonio che in Italia si concreta in essenze e realtà materiali e immateriali, esclusive e originali, ed è la sostanza del suo futuro.
Le sfide epocali, come quella dei cambiamenti climatici, possono essere vinte solo se agli atti concreti si abbinano a consapevolezze quali il riconoscimento della bellezza che dobbiamo vivere attivamente nella pratica della vita.” (Rieti, 19 novembre 2015 – Serena Pellegrino)

Credo ci sia poco da aggiungere!