di Sergio Bedessi – Dopo che a marzo si è svolto a Firenze il World Bach Festival, una tre giorni imperniata sulla musica bachiana, il prossimo venerdì 4 maggio, nella chiesa di Sant’Agostino a Montalcino (SI), verrà suonata la “Musikalisches Opfer” (Offerta musicale) di Johann Sebastian Bach.

Proprio una sera di questo stesso mese di maggio, ben 265 anni fa (era il 1747) nel castello di Potsdam, il grande musicista tedesco incontrava il re di Prussia, Federico il Grande (Federico II Hohenzollern).

Il re era uno dei monarchi più rappresentativi della sua epoca ed incarnava la figura del sovrano illuminato.

Mentre Johann Sebastian Bach era un uomo del periodo barocco, il re, più giovane del musicista, si trovava più vicino alle idee del secolo dei lumi: seguace convinto di Voltaire, con il quale scambiava una copiosa corrispondenza, grazie ad una sapiente miscela fra politica estera espansionistica e politica interna forte di importanti misure strutturali, fra le quali la riforma dei codici, l’abolizione della tortura e della pena di morte, il re di Prussia aveva saputo far divenire il suo piccolo regno una potenza europea.

Agli impegni politici e militari il sovrano alternava quelli culturali, e fra questi la passione per la musica; musicista egli stesso, componeva e suonava il flauto ed in quella primavera di 265 anni fa, aveva espresso il desiderio di incontrare l’uomo che, ormai anziano, era considerato il più grande compositore virtuoso vivente dell’organo e del cembalo.

L’incontro, combinato dal figlio di Bach, Carl Philipp Emanuel, Kapellmeister a corte, al quale il re più volte aveva fatto capire che una visita del musicista suo padre gli avrebbe fatto molto piacere, avvenne la sera del 7 maggio 1747.

Il grande musicista fu accolto con calore dal re che gli fece provare i suoi nuovi fortepiano (gli antenati del pianoforte) costruiti da Sielbermann, strumenti con i quali aveva riempito il palazzo; il re era ansioso di vedere la tanto conclamata arte dell’improvvisazione posseduta dal grande musicista.

Bach chiese quindi al re di suonargli un tema musicale, con l’idea di improvvisare su questo tema una fuga.

Il re suonò quindi un tema su uno dei fortepiano, ascoltando poi la mirabile elaborazione a più voci immediatamente fattane dal grande musicista.

Stupito della bravura, chiese quindi di elaborare una fuga, sullo stesso tema, con ben sei voci; Bach però disse al sovrano che quel tema non era adatto per un’armonia di quel tipo e quindi, utilizzando un altro tema, effettuò l’elaborazione a sei voci richiesta dal re.

Qualche tempo dopo questo incontro, Johann Sebastian Bach rielaborò il tema del re, creando la cosiddetta “Offerta Musicale” (Musikalisches Opfer – BWV 1079), una delle sue opere più importanti, recapitandola poi al monarca con una dedica; l’opera intera era composta da due fughe, dieci canoni ed una trio sonata, il tutto basato appunto sul tema regio.

L’iscrizione delle fughe conteneva la dedica “Regis Iussu Cantio Et Reliqua Canonica Arte Resoluta”, che significa “Il canto richiesto dal re ed il resto risolto con arte canonica”.

In questa apparentemente semplice frase si celava però un messaggio; utilizzando le iniziali del titolo si ottiene infatti la parola “RICERCAR”!

Cosa aveva voluto significare il grande musicista con questa parola?

Bach non era nuovo a questo genere di espedienti.

Spesso nascondeva il suo stesso nome all’interno delle musiche che scriveva (in notazione tedesca B = si bemolle, A = la, C = do, H = si), così come aveva fatto nella Passione secondo Matteo (BWV 244), quando il coro canta “Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio”, e come farà, successivamente all’incontro con il re, nell’Arte della fuga (“Die Kunst der Fuge”) dove nel Contrapunctus XIV, si dice interrotto bruscamente a metà della terza parte (battuta 239) a causa dell’improvvisa morte del musicista, si trova appunto il suo nome.

Molte delle sue opere inoltre erano basate sul numero 14, un numero che probabilmente ossessionava il musicista; usando la corrispondenza numerica delle lettere del nome BACH il risultato è in effetti (B=2 A=1 C=3 H=8) 14!

Vi è però un’altra opera, composta sempre nel 1747 da Bach, dove nella notazione musicale appariva il suo nome: si tratta delle variazioni canoniche sul corale “Vom Himmel hoch,da komm ich her” (BWV 769) che Bach utilizzerà per iscriversi, sempre nel 1747, ad una società semisegreta fondata nel 1738 da Lorenz Christoph Mizler von Kolof, un suo ex allievo, società che doveva indagare i rapporti fra musica e matematica. Fra l’altro sempre all’atto dell’iscrizione alla società di Mizler, Bach aveva consegnato, come era d’uso, un suo ritratto, dove il musicista era ritratto con in mano un foglio di musica, raffigurante un canone scritto in notazione criptica; si tratta del tredicesimo canone di un gruppo di quattordici, scoperti solamente nel 1974, scritti di mano di Bach su una delle prime edizioni delle più famose variazioni Goldberg.

Insomma si può dire che Bach utilizzasse spesso tecniche steganografiche, a volte semplici, a volte più complesse, per nascondere il suo nome o altri messaggi nelle proprie opere musicali.

La steganografia è parente stretta della criptografia; mentre con la prima il messaggio segreto è coperto da un messaggio pienamente intellegibile e di senso compiuto, in modo tale da non insospettire l’osservatore, con la criptografia chi intercettasse il messaggio, pur non potendolo leggere non avendo la chiave, comprenderebbe comunque che si tratta di un messaggio segreto.

Uno degli esempi più antichi di tecnica steganografica era stato narrato da Erodoto: un messaggio veniva inciso su una tavoletta di legno, poi coperta da cera sulla quale veniva scritto un messaggio fasullo; chi avesse preso in mano la tavoletta di cera avrebbe visto solo il messaggio fasullo sullo strato superficiale, e non quello sullo strato retrostante, mentre il destinatario del messaggio avrebbe invece tolto lo strato di cera e letto il messaggio sottostante.

Sia la steganografia che la criptografia hanno origini molto antiche; in tempi più moderni, prima di Bach si era occupato di steganografia un tale Caspar Schott, latinizzato in Gasparis Schotti, un padre gesuita tedesco vissuto nel 1600, che si occupava di fisica, di matematica, di scienze naturali. Aveva scritto numerosi libri su queste materie ed anche libri di magia; effettuava personalmente esperimenti e ricerche sulle quali poi stilava minuziosi rapporti. I suoi lavori più importanti avevano ad argomento l’idraulica e la meccanica, ed era stato il primo a descrivere il giunto meccanico e a classificare le ruote dentate.

Schott era autore del più importante testo di steganografia: la “Schola steganographica”.

Nel suo testo il padre gesuita aveva illustrando anche tecniche che consentivano l’equivalenza fra note musicali e lettere dell’alfabeto, ottenendo così lo scopo di nascondere un messaggio nella scrittura musicale senza che l’osservatore, o l’ascoltatore, si accorgesse di niente.

Un altro autore, un tale John Wilkins, vissuto nel 1600, inglese, anch’egli un religioso, si era occupato in modo specifico di steganografia musicale nel suo libro “Mercury, or the Secret and Swift messenger” (1641), nel quale non solo aveva dimostrato la possibilità di nascondere un messaggio all’interno di una musica, ma era arrivato a sostenere che due musicisti, ognuno suonando il proprio strumento, avrebbero potuto ben “parlarsi fra loro in codice”, semplicemente suonando insieme!

Insomma, viste queste premesse, quali messaggi Bach aveva voluto trasmettere a Federico II con la “Musikalisches Opfer”?

Cosa si trovava nascosto nella “Offerta musicale”, oltre al semplice e facilmente interpretabile messaggio “ricercar”?

Perché il settimo canone (“Canone a 2”) si intitolava, in modo inaspettatamente chiaro, “Quaerendo invenietis” (“cercando troverete”)?

Difficile dirlo con certezza anche se lo studio di quest’opera, così come quello delle altre opere di Bach che contengono, celate sotto la notazione musicale, altri messaggi, sta riservando delle vere sorprese.

Sicuramente l’Offerta musicale dimostra come il legame fra Bach e Federico II fosse molto stretto e profondo, ed andasse ben al di là del legame fra musicista ed ammiratore, fra sovrano e compositore; probabilmente anche il re era a conoscenza della società semisegreta di Mizler che indagava i rapporti fra matematica e musica e forse ne era un sostenitore.

Altrettanto certo il fatto che nelle sue ultime opere Bach sembra sempre più seguire il concetto che la musica è una forma di arte strettamente connessa con la matematica; probabilmente egli riteneva possibile creare la musica semplicemente applicando dei teoremi matematico-musicali ad un tema di fondo fissato precedentemente.

In questo modo la musica veniva dunque a rappresentare un ordine basato su regole ferree, né più né meno come la matematica rappresenta essa stessa un ordine basato su teoremi; per ambedue un ordine universale sul quale si fonda un’armonia matematica o musicale, rappresentazione del divino.

Del resto si deve pensare che l’epoca di Bach (siamo a cavallo fra XVII e XVIII secolo) è anche quella di Newton e Leibniz, che avevano scoperto le regole della fisica sulle quali si basa l’ordine dell’universo; ed è Leibniz che pone in luce questa corrispondenza biunivoca fra le parti ed il tutto, asserendo nella sua “Monadologia” (1714), che ogni semplice sostanza ha uno stretto legame con tutte le altre, e conseguentemente che ogni sostanza è come uno specchio dell’intero universo: “Atque huic adaptationi rerum omnium creaturam ad unamquamque et uniuscuijusque ad ceteras omnes tribuendum, quod quaelibet substantia simplex habeat respectus, quibus exprimuntur ceterae omnes, et per consequens speculum vivum perpetuum universi existat.”.

Il concetto di monade come unità ultima indivisibile risaliva a Pitagora, che utilizzava questo termine per indicare il principio dal quale derivavano tutti i numeri; è emblematico che nella società semisegreta alla quale Bach era iscritto, il fondatore Mizler si facesse chiamare proprio Pitagora, il filosofo greco che per primo aveva compreso che i rapporti fra le diverse note musicali erano rapporti di tipo matematico.

In definitiva, al di là dei segreti messaggi che sicuramente la “Musikalisches Opfer” contiene, l’opera non solo è una delle testimonianze più straordinarie del genio contrappuntistico di Bach, ma è anche una dimostrazione di come l’armonia della musica colta occidentale e la nostra matematica siano due facce di un ordine trascendente che pervade l’intero universo.