di Kiyoco Hirai-  Quante volte abbiamo detto o sentito questa frase: un invito che ha assunto nel tempo un significato globale e globalizzante.
Sì, perchè intorno a quelle foglioline strane e profumate si è sviluppata tutta una sensibilità le cui radici sono molto lontane… Così per ritrovare il sapore e la tenerezza di quelle confidenze dimenticate davanti ad una tazza fumante dalla fragranza misteriosa abbiamo incontrato Kiyoco Hirai, giovane giapponese doc, che vive in Italia, a periodi alterni dal 1995.

Frequentando l’Accademia di Belle Arti di Firenze e l’Istituto di Restauro ho avuto modo di sperimentare gli insegnamenti della cultura occidentale: molti sono stati gli artisti europei e i tecnici italiani di questo settore che hanno supportato la mia formazione artistica. Sento di volerli ringraziare esprimendo in lingua italiana percezioni, ricordi ed emozioni che legano profondamente la cultura giapponese a quella occidentale

Molto spesso la filosofia dell’ estremo oriente viene colta dal mondo occidentale  in un modo che a noi appare troppo superficiale. Questo è dovuto in parte alla grande distanza, prima di tutto in termini logistici, subito dopo in quelli  culturali: questo fatto non ha permesso a noi giapponesi di  esprimerla in maniera appropriata. L’estesa occidentalizzazione, contestualmente al continuo processo di globalizzazione, sin dal secolo scorso hanno portato le giovani generazioni di giapponesi a perdere interesse per la cultura tradizionale.

Faccio un esempio: la cerimonia del  the, una delle tradizioni artistiche tipiche del Giappone, Paese che  è stato per lungo tempo chiuso ed isolato entro i propri confini e che per questo ha sviluppato  connotazioni culturali uniche.

Secondo Tenshin Okakura (1863-1913), la cerimonia  sussiste come arte integrale completa perchè unisce tanti aspetti di arte e artigianato. Essa influisce su ogni area culturale giapponese, dall’architettura alla pittura, dalla ceramica alla letteratura e persino sulle nostre abitudini quotidiane, come sul nostro modo di mangiare.

Okakura, che fu filosofo e direttore del Boston Museum, nel suo saggio critico The Book of Tea definisce la cerimonia del the come un ‘ arte che tenta di nascondere la sua bellezza potenziale e profonda in ogni elemento visibile, senza esporla in maniera esplicita,  lasciandola gradatamente scoprire. L’autore attribuisce grande importanza al nostro comportamento inconscio, perchè esso rispecchia la nostra anima. Per esempio, quando ci preoccupiamo troppo degli occhi degli altri e cerchiamo di fare bella figura, controlliamo bene le nostre azioni sotto un profondo senso di coscienza, rendendole così mascherate, prive di personalità. In genere si tende a manifestare il proprio comportamento altruistico per catturare l’ ammirazione degli altri.

Nella cerimonia del the, al contrario, viene apprezzata l’azione altruistica invisibile ed anonima, la cui bellezza  viene scoperta solo successivamente, quasi per caso, dopo che il “rito”, perchè tale lo possiamo chiamare, ha prodotto i suoi frutti.

Storicamente la cerimonia del the si sviluppa nell’ambito culturale dello Zen, una delle scuole principali del Buddismo: i monaci buddisti  oggi infatti predicano l’importanza dell’Intoku, un concetto che si può  tradurre come virtù creata di nascosto.

Il primo libro sulla cultura del  thè, scritto da Rikuu (733-804),  giunge in Giappone dalla Cina: esso descrive dettagliatamente la storia del the, come lo si può coltivare, come lo si raccoglie, gli strumenti per prepararlo e come lo si beve. L’ abitudine di prendere il the arriva nel periodo Heian (794-1192) tramite alcuni ambasciatori che ritornano dalla Cina: in quel periodo il the era marrone e non  verde come il matcha usato oggi per la cerimonia.

Nel periodo Kamakura (1185-1333), Eisai e Dougen, due famosi monaci buddisti, introducono dalla Cina in Giappone la cultura dello Zen e del the  matcha.

All’inizio la bevanda era considerata come una medicina: l’esercizio spirituale dello Zen più conosciuto è la meditazione Zazen per mezzo della quale  il corpo si addormenta, ma la coscienza dal punto di vista biologico rimane presente. Per non cedere completamente al sonno durante la meditazione si utilizzava il the: così  da questa usanza si sviluppa a poco a poco la cerimonia del thè.

A quel tempo la coltivazione della pianta era ancora molto rara e la bevanda veniva considerata preziosa, ma con la diffusione della coltivazione, l’usanza di consolida e si diffonde in tutte le classi sociali.

Okakura nel suo libro riferisce anche dell’ introduzione dell’usanza orientale in Europa.

Alla fine del XVI secolo gli olandesi scrivono per la prima volta del thè, lo descrivono come una bevanda fresca che viene prodotta da una pianta che cresce in Oriente.

Nel 1610 una nave della Vereenigde Oostindische Compagnie (VOC) dell’Olanda, la prima società  per azioni nel mondo, la pianta viene importata per la prima volta in Europa e nel 1636 la bevanda  viene conosciuta ed apprezzata in Francia.