– Mons. Domenico Battaglia, Arcivescovo di Napoli –

Ma quali “autorità”?
Il nuovo governo chiederà domani la fiducia al Parlamento: la redazione e il direttore di OrientePress vogliono formulare i migliori auguri per una “autorità” che sia veramente “servizio” al Paese e ai suoi cittadini proponendo il “saluto alle autorità” di di Don Mimmo Battaglia, il nuovo Arcivescovo di Napoli: forse prendere qualche spunto può essere utile…

“Terra mia, terra mia/ comm’è bello a la penza’/ Terra mia, terra mia/ Com’è bello a la guardà/ Nun è overo nun è sempe ‘o stesso/ Tutt’e juorne po’ cagnà/ Ogge è deritto, dimane è stuorto/ E chesta vita se ne va (…) Terra mia, terra mia/ Tu si’ chiena ‘e libertà/ Terra mia, terra mia/ I’ mò a sento ‘a libertà” (Pino Daniele, Terra mia)

Vorrei iniziare questo nostro incontro con le parole dell’indimenticato Pino Daniele. Mi piacerebbe consegnare a tutti noi, oggi, il sogno di riorganizzare la speranza, in questa nostra terra.

“Terra mia” è un brano viscerale che rende l’idea del trasporto e della passione con la quale Pino Daniele vede e illustra la sua Terra senza voler nascondere le sue verità più crude e primitive. Nel brano, egli sottolinea anche l’amarezza di chi guarda affascinato questi luoghi senza poter far niente per un loro sviluppo. Nella canzone, però, esprime anche la volontà di non perdere mai la speranza in un cambiamento perché le cose variano giorno per giorno e sono in continua evoluzione.

Non perdere la speranza ma diventare profeti di speranza. Questa potrebbe essere la sintesi dell’essere autorità. Autorità… che immenso e invidiabile compito la vita, o per chi è credente Dio, vi ha dato: quello di aumentare (ed è il significato più profondo della parola autorità) la bellezza della vita per le persone delle generazioni a voi consegnate dalla vita. Persone piegate o ferite o ignorate che potete rimettere in piedi, guarire… a cui potete ridare vita. Persone fragili, intimorite, disilluse, su cui avete invece l’autorevolezza di chi con la credibilità della sua passione lavorativa e la trasparenza della sua testimonianza, sta facendo questo suo lavoro proprio per loro. Per rimettere in piedi proprio loro, gli scartati dalla società, con tutto l’amore del suo cuore, con tutta la competenza dei suoi talenti messi a frutto proprio per loro, con tutta la sua ispirazione spirituale… che gli venga da Dio o dalla vita.
Dove? Nel loro mondo del lavoro, nei loro luoghi della dignità civile, delle amministrazioni pubbliche, dagli assessorati alle carceri, alle scuole, alla giustizia, alle università. E dare così a persone con volti tristi e anime piegate, la gioia e l’allegria di dire finalmente: Ma com’è bello vivere!
Autorità! Che eccellente, immenso e invidiabile compito vi ha dato la vita: quello di fare miracoli concreti e immediati!

Oggi, per tutti noi inizia un nuovo tratto di strada, ed il mio desiderio più grande è quello di poterci riappropriare della capacità di sognare insieme.
Veniamo da un anno davvero faticoso, ed ancora siamo al centro di una tragedia immane che ci ha provato nel corpo, ma soprattutto nello spirito. Questa pandemia ha ulteriormente aumentato le tensioni individualistiche, che già gravavano sulla nostra società. Abbiamo tutti riscoperto la nostra fragilità, tutti siamo stati riportati bruscamente all’essenza fragile della nostra umanità. Un mondo già fortemente squilibrato tra ricchi e poveri, ha visto moltiplicarsi le diseguaglianze e, con esse, le tensioni sociali. Il Covid ha infatti messo in discussione le relazioni, imponendo di cambiare i nostri “comportamenti sociali”. In qualche modo, la distanza tra noi ci ha portati a dubitare dell’importanza di prenderci cura di chi ci è accanto. E così lentamente sembra stia scomparendo anche la speranza di poter essere ancora felici, quasi fosse ormai impossibile tornare a coniugare i verbi al futuro.

Ma, in realtà, anche in questo tempo vi è un significato da svelare, un senso da annunciare, una verità utile ad orientare, ritrovando nell’oggi nuove rotte per il domani!
Questo è il nostro tempo. Qui e ora. Siamo chiamati non a salvare il mondo ma ad amarlo. Avversari dell’assurdo, profeti del significato.
È questo il tempo, del silenzio, del riscoprirsi, del reinventarsi. Il tempo di una nuova possibilità. Possibilità di riscoprire il senso della nostra umanità, di un’umanità che ha bisogno di umanità.

Allora, pensando a cosa dire per salutare tutti voi, ed attraverso di voi, le vostre comunità, tutte le donne e tutti gli uomini che lottano e sperano nei vostri territori, mi è tornata in mente la splendida riflessione sulle Beatitudini di un grande Vescovo, anche lui meridionale, Don Tonino Bello: “Non ci vuol molto a capire che dietro le beatitudini c’è qualcosa di grande: noi siamo fatti per essere felici, la gioia è la nostra vocazione”.

Una felicità che significa soprattutto “stare in piedi”, rialzare la schiena piegata dalla fatica, avere il coraggio di rivolgere lo sguardo verso l’alto, riappropriandosi della dignità di figli. E verso l’altro, imparando a riconoscersi nella dignità di uomini e donne.

È questa la terra che siamo chiamati a “sognare”, ad abitare, a custodire e a coltivare con tenerezza. Una terra che oggi, proprio qui a Napoli, dobbiamo dissodare insieme, perché se davvero abbiamo intenzione di riappropriarci del “sogno”, sappiamo molto bene che è necessario tornare a ragionare in termini di noi, dobbiamo ricominciare a ragionare al plurale. “Sognare da soli è solo un sogno, sognare insieme è l’inizio della realtà.” (H. Camara)

Beati quindi, felici noi, se sapremo sognare insieme, e se sapremo lottare per quel sogno condiviso. Abbiamo tutti la responsabilità “in solido” di quel sogno: Chiesa, politica, istituzioni, cultura, cittadini, nessuno escluso.
Solo insieme potremo trovare il coraggio di lottare contro le brutture che purtroppo ancora si annidano nelle pieghe di una terra dagli enormi contrasti. Una terra capace di togliere il fiato per la sua bellezza, di stupire per l’ingegno, la creatività e l’accoglienza, ma anche sottomessa al giogo pesante della criminalità, della camorra, di affaristi senza scrupoli che crescono e ingrassano sulle sofferenze di tanti disoccupati, di chi per sbarcare il lunario e portare a casa un pezzo di pane, è capace di qualsiasi cosa sulla pelle dei nostri ragazzi.
Una terra ricca di belle persone, di volontariato, di associazionismo e di Terzo Settore, ma anche di disperazione, di fiumi di droga che scorrono indisturbati nei quartieri più abbandonati, di gioco d’azzardo e di vite a perdere, di emarginazione e di solitudine.
Di tutto questo, noi dobbiamo essere pienamente consapevoli, avere il coraggio di guardare negli occhi i mali delle nostre città e di chiamare i problemi con il loro nome. Solo così, insieme, potremo affrontarli.

“L’importante è stare sulla strada che vuol dire essere in cammino, guardarsi dentro con tutte le nostre contraddizioni, mettere al centro la gente e il bene comune. Ogni persona prima che di aiuto ha bisogno di dignità e di cittadinanza, che viene non solo negata ma talvolta anche tolta. Ecco perché il cambiamento in sé non basta… deve partire dal basso e da dentro, deve unire gli onesti perché la democrazia non sia solo un concetto astratto, ma i diritti diventino carne e vita. C’è, quindi, bisogno del contributo di ciascuno… È in questo modo che avviene la globalizzazione della speranza poiché l’unica strada che dà speranza è quella che unisce le energie”. (Conf. L. Ciotti – Card. Turkson, dall’Avvenire)

La speranza non la si costruisce se non insieme, non la si conosce dal di dentro se non la si è incontrata nel volto della disperazione. Sono i poveri a indicarci la strada del domani. Sono gli ultimi, quelli che sono rimasti indietro, gli esclusi, che ci indicano la direzione da seguire. La speranza rinasca in noi e nelle nostre relazioni, perché possiamo annunciare oggi che è possibile non essere schiavi di logiche di sopruso, della sete di profitto, della smania del potere. Prima di ogni cosa, valore, ideale, ci sono i nomi, i volti, le storie. Non ci sono i poveri generici, ma coloro che incontro, non i malati, ma i volti conosciuti del dolore, non i problemi sociali, ma la storia concreta di chi ha incrociato il mio cammino.

La gratuità è tutta in questo riconoscere il volto dell’altro, guardarne gli occhi, fermarsi davanti a questo sguardo. La gratuità non è non aspettarsi di essere ricambiati ma è il consegnarsi senza riserve a quello sguardo. Pronti a rispondere della speranza e non pronti a difendersi, non pronti ad affermare se stessi. Riconoscere l’altro nella sua dignità conduce a riconoscere che ciascuno ha bisogno dell’altro. La gratuità, evocando il bisogno dell’altro, riempie il mondo, lo dilata, perché apre alla ricerca condivisa del bene. È per questo che la gratuità salva dalla solitudine.

Sogno perciò una nuova speranza che sia spazio per ciascuno e per tutti. Quella stessa speranza che serve ritrovare ogni volta per il senso del nostro servizio.

Capaci di lottare insieme contro l’indifferenza, contro le ingiustizie e le diseguaglianze, al fianco dei tanti che, soprattutto in questo anno, hanno perso il lavoro e, con esso, la speranza. Capaci di camminare accanto a chi è stato avviluppato dai tentacoli sporchi della camorra, indegna ed inumana che profitta sulla sofferenza della gente. Percorrendo lo stesso sentiero di chi non si arrende, di chi ricorda che questa terra è culla di storia e cultura.

Capaci di intercettare e cogliere il grido dei nostri figli più piccoli, dei nostri figli più fragili. Beati noi se sapremo costruire una comunità che non lascia indietro nessuno, capace di chinarsi sulle ferite del più povero per medicarne le piaghe, per lenire le ferite della vita.

E saremo beati se sapremo cogliere la bellezza dei doni elargiti con generosità a questa meravigliosa comunità. Una terra ricca di bellezza, di storia, di cultura. Tra qualche mese celebreremo Procida capitale italiana della cultura. Ed è significativo che sia proprio un’isola il luogo da cui partirà il messaggio di cura e tutela di beni culturali, naturali e sociali. Un’isola che sarà capace di divenire centro di un grande arcipelago virtuale, veicolo di relazioni di bellezza.

Ma soprattutto saremo beati se sapremo cogliere il significato più profondo del messaggio delle beatitudini: sperare oltre ogni speranza. Perché beati vuol dire “stare in piedi”.
Ed è questa forse la parte più difficile ed importante del nostro cammino. Siamo chiamati, ed io mi auguro davvero di riuscire a farlo insieme ad ognuno di voi, a ricostruire e riorganizzare la Speranza. Questa nostra terra, Napoli, tutto il nostro territorio, potrà davvero diventare simbolo di rinascita per l’intero meridione e per tutto il Paese. La capacità di resistenza e di resilienza, che molti uomini e donne di questa terra dimostrano ogni giorno, lottando per costruire un mondo davvero migliore, a volte pagando sulla loro pelle il prezzo del loro impegno, rappresenta il vero capitale sociale sul quale fare leva per dare forma ad un domani diverso.

Allora… in piedi!
In piedi, per moltiplicare con larghezza i gesti di misericordia, poiché la misericordia ci illuminerà.
In piedi, per donare fino a restare a mani vuote, poichè la vita di nuovo le riempirà.
In piedi, per imparare a credere nel potere di moltiplicazione che il dono detiene, poiché vedremo manifestarsi molte volte il miracolo dell’amore.
In piedi, per non sottrarci all’incontro con i poveri, poiché con i poveri impareremo cose che ignoravamo sulla speranza.
In piedi, per non barricarci nel condominio dell’indifferenza, poiché scopriremo che è nello spazio aperto della vita solidale che accade il domani.
In piedi, per vivere la compassione, poiché vedremo cadere a terra tanti pregiudizi.
In piedi, con mitezza per rompere il muro delle certezze implacabili, poiché sperimenteremo dentro di noi che sono altre le vie della consolazione.
In piedi, per provare vera fame e vera sete di giustizia: non mancheremo di essere saziati.
In piedi, per riconoscere il valore di uno sguardo puro, poiché nel buio sapremo scorgere una luce.
In piedi, per avvertite l’appello ad afferrare il presente con mani gentili, poiché diventeremo, senza saperlo, anche le levatrici del futuro.
In piedi, faticando giorno dopo giorno per la pace: questo è prendersi cura della bellezza della vita.
In piedi. Insieme.
(ispirato a J. Tolentino Mendonca)