– servizio a cura di Nadia Fondelli –
Meno 38% della produzione di olio extra vergine di oliva in Italia per la frangitura alle porte secondo i dati Ismea.
E in attesa dell’apertura dei frantoi – fissata in Toscana per il 15 ottobre prossimo – è inevitabile prevedere che, a un valore di produzione vicino al minimo storico, corrisponderà un inevitabile aumento del prezzo.
Una situazione non solo italiana. La “carestia olearia” sta colpendo fortemente anche la Grecia (-20%) e la Tunisia (-21%) mentre in linea è l’intensiva produzione della Spagna (1,4 milioni di kg,) che si conferma leader mondiale, in controtendenza è anche la Turchia con un + 33% a cui afferiscono sicuramente anche le olive libanesi, siriane e giordane.
La somma di tutti questi numeri fa emerge un calo mondiale di produzione del -9% e un conseguente forte rialzo dei prezzi calcolabile ad oggi sul +14%.
E in Toscana? Le previsioni ottimistiche si attestano a un calo del 29% mentre i rumors ufficiosi azzardano una previsione funesta del -40%.
La causa è rintracciabile da una parte nel naturale calo di produzione dopo un annata felice come quella passata e dall’altra nell’estate calda che ha favorito qua e là l’attacco della temuta mosca.

Solo numeri abbiamo letto. Numeri che il consumatore non comprende fino in fondo.
Lui è interessato solo ad un’ altra cifra: il prezzo, ignorando che è invece comprendendo gli altri numeri e le difficoltà di una filiera complessa che si può dare esatto valore al prezzo finale.

La vera grande sfida dell’extra vergine è riuscire a informare correttamente il consumatore. Tracciabilità certa, etichettatura chiara e comprensibile e tanta cultura mista ad educazione.
Quando la massaia davanti allo scaffale del supermercato decide per un extravergine a 3,5 euro al litro crede di fare una scelta di risparmio. Ma sbaglia.

Sbaglia perché non è informata sul fatto che in Italia, solo nel 2015, le frodi nel settore olio sono aumentate del 278% e che i Nas hanno trascorso l’anno a sequestrare extravergini adulterati e contraffatti.
Non sa che nonostante i controlli è veramente difficile monitorare i flussi, specie nei porti…
Del resto non è informata nemmeno sul fatto che la Turchia gioca a stare in Europa solo quando si tratta di riversare sui nostri scaffali quintali di olio (anche siriano, giordano, libanese e di altre provenienze mediorientali) non eccelso e che una buonistica norma “aiuta Tunisia” permette a questo Paese di esportare in Europa senza dazio alcuno il suo olio con la mosca, oltretutto trattato con scarsa igiene.
Nessuno mai nemmeno le ha insegnato a leggere un’etichetta. Nessuno le ha spiegato che la generica indicazione di olive di provenienza italiana o comunitaria è un legale gioco delle tre carte.
Il dato che poco emerge, ma che è incontrovertibile, è il fatto che l’Italia non è autosufficiente, perciò costretta ad importare per la gioia dei vicini arabi.
Produciamo infatti circa 500mila tonnellate di extra vergine quando ne consumiamo 600mila, ma ciò nonostante siamo i primi esportatori al mondo. Del resto l’appeal che ha il made in Italy non è imitabile e poco importa se poi nelle bottiglie di extra vergine italiano si trova per ‘80% olio straniero!
Un folle rompicapo, una situazione al limite del paradosso fra realtà che cambiano secondo come le leggiamo anche nell’oliveto toscano dove sussistono ben 4 Dop (Terre di Siena, Lucca, Chianti Classico, Seggiano) e l’IGP “Toscano”.
Ebbene sì, anche nelle nostre bottiglie certificate e tracciate c’è qualcosa che potrebbe sembrare strano se non ci fossero state già inchieste e condanne, perché a una produzione media di circa 160mila quintali risponde un export di 400mila quintali. Attenzione, però, potrebbe anche essere tutto nella norma dato che è permesso acquisire olive e olio italiano ed europeo.

Difficile davvero riuscire a spiegare bene al consumatore perché deve spendere più di 8 euro per una bottiglia quando sullo stesso scaffale trova anche una bottiglia a 3 euro?
E a nulla servono le motivazioni salutistiche. E’ notorio che un extra vergine di qualità è la migliore medicina per prevenire malattie cardiovascolari, diabete e ipercolesterolomia, ma non basta.
Ai primi di settembre Ismea ufficializzava prezzi medi mensili di 8,6 euro/kg. per Il Dop Terre di Siena, 9,1 euro/kg. per il Dop Chianti Classico e 7,2 euro/kh. per l’IGP Toscano.
Il prezzo è giusto? Assolutamente sì!

Ma la provocazione è che sia giusto sia così anche nell’ ottica di prevenire lo spreco alimentare.
Ebbene sì! L’aumento dei prezzi è virtù: non perché serve a smuovere l’economia, ma perché, come nel caso dell’olio extra vergine di oliva, chi più spende oltre a curare la sua salute cura il pianeta, combatte lo spreco alimentare salvaguardando le eccellenze della tavola.