di Claudio Molinelli – Il referendum del 17 Aprile prossimo, relativo alle disposizioni sulla regolamentazione delle trivellazioni in mare, è stato finora assai poco pubblicizzato, non solo in pochi sanno il  perché, ma ancora meno come votare!

Si tratta di decidere se limitare la durata delle estrazioni petrolifere marine entro 12 miglia dalla costa che secondo la scadenza “naturale” delle concessioni in atto prevedono l’estrazione fino ad esaurimento del giacimento.

Il rapporto “Trivelle fuorilegge” di Greenpeace rende pubblici i dati ministeriali dell’inquinamento generato da oltre trenta trivelle operanti nei nostri mari, malgrado le dodici miglia dalla costa. La contaminazione è ben oltre i limiti di legge per almeno UNA SOSTANZA CHIMICA nei tre quarti di sedimenti vicini alle piattaforme (79% nel 2014), e per almeno DUE SOSTANZE NEL 67% sempre nello stesso anno; anche nelle cozze si è rilevata la presenza di sostanze inquinanti.

Il quadro che emerge è di una contaminazione grave e diffusa. Laddove esistono dei limiti fissati dalla legge, le trivelle assai spesso non le rispettano – commenta Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace-. Nei pressi delle piattaforme monitorate si trovano abitualmente sostanze associate a numerose patologie gravi, tra cui il cancro. La situazione si ripete di anno in anno ma ciò nonostante non risulta che siano state ritirate licenze, revocate concessioni o che il Ministero abbia preso iniziative per tutelare i nostri mari”.

Il Ministero dell’Ambiente si è dimostrato in merito scarsamente trasparente, avendo fornito a Greenpeace i dati di 34 piattaforme presenti sui nostri mari su un totale di oltre 135. Si deduce che o il Ministero non dispone di tutte le informazioni oppure non porta a conoscenza tutta la documentazione in suo possesso. E ancor più allarmante è il fatto che i monitoraggi sono stati eseguiti da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale), un istituto di ricerca pubblico sotto la vigilanza del Ministero dell’Ambiente, su committenza di Eni, proprietaria delle piattaforme oggetto d’indagine: in pratica il controllore è sul libro paga del controllato.

Questi motivi ci sembrano più che sufficienti per indurre i cittadini a recarsi al referendum e a votare SI per limitare nel tempo attività, che a fronte di un risultato economico relativo (tutto il petrolio italiano basterebbe al Paese per due mesi circa) sono così nocive per l’ambiente e per la salute pubblica.