di Vulmeno Gingello

 

Tanto tuonò che piovve!  I segnali c’erano stati ed erano stati numerosi; purtroppo difficile lo stabilire da dove potesse arrivare ciò che poi si è materializzato così tragicamente per l’Europa. Varie le dichiarazioni di leader più o meno rappresentativi che dalla penisola arabica e dallo Yemen, o comunque dal  vicino medio oriente musulmano ricollegabile alla Jihad islamica, avevano minacciato azioni contro l’Occidente. Molteplici i crimini già attuati e che avevano creato allarmismo nei servizi di sicurezza: come non ricordare  il recente attentato al museo ebraico di Bruxelles o il meno recente (2004) ma più cruento assassinio del regista olandese Theo Van Gogh, reo di aver diretto il film “Submission” ritenuto blasfemo dal mondo islamico.

 

Resta il fatto inconfutabile che prevenire siffatte azioni terroristiche è sempre più difficile in quanto molti, moltissimi sono i bersagli (palazzi e sedi istituzionali, da una parte; luoghi comuni di incontro, consumo o intrattenimento dall’altra). Anche l’ultimo evento dimostra che è impossibile stabilire in anticipo il luogo prescelto dagli attentatori e quindi predisporre opportune difese, come evidenziano peraltro gli attentati in passato in Egitto e nel medio oriente, di alcuni mesi fa in Inghilterra e recentissimo in Nigeria.

E la strage di Parigi nel cuore dell’Europa  è un pessimo segnale in quanto avendo avuto, come è ovvio, tanto risalto sui media di tutto il mondo rischia di  moltiplicare eventi consimili nel prossimo futuro stante il “successo” conseguito dagli attentatori e indurre altri “lupi solitari” rientrati nei paesi di origine dopo l’addestramento nei campi della Jihad,  o “killer” venuti appositamente dall’estero, ad intraprendere azioni consimili, senza considerare che dispongono e sanno utilizzare in modo micidiale le armi, sia che si tratti di kalashnikov, mitragliette o semplici asce.

Per noi occidentali, per la nostra cultura, l’attacco al giornale satirico francese rimane di una gravità eccezionale perché è andato a colpire il “libero pensiero”, quella libertà di stampa che è sempre stata insita nel modo di pensare maggioritario, sia quando vi era libertà di espressione sia nei tempi più cupi  in cui tale libertà era repressa: anche in quei tempi venivano stampati e distribuiti fogli “clandestini” che mantenevano un pensiero alternativo a quello imposto dall’alto e non mancavano in tali “fogli” clandestini le vignette satiriche.

Quindi non solo un attacco alla libertà di stampa, ma addirittura alla satira! Satira che per il mondo neolatino (ed “italiano” in particolare) è sempre stata considerata un elemento quasi innato: nell’antichità molti poeti e drammaturghi erano satirici (Orazio per tutti); nel medioevo tale ruolo era ricoperto dai giullari di corte; nell’Ottocento la satira frizzante contro gli “occupanti” asburgici e quella non meno mordace contro i politici ed uomini di rilievo senza risparmiare Cavour, Mazzini, Garibaldi e gli stessi reali; ai tempi nostri quasi tutti i quotidiani hanno un “Vignettista” satirico.

Giustamente in un editoriale del 9 gennaio 2015 un grande giornalista e scrittore ha affermato: “La satira non è mai blasfema, perché non si occupa dell’assoluto, ma del relativo. Non di spiritualità, ma di umanità. La satira non manca di rispetto a Dio, casomai agli uomini che usano Dio per dominare altri uomini.  La vignetta di Charlie Hebdo che più di ogni altra è costata la vita ai suoi autori raffigurava un Profeta disperato per il tasso di stupidità degli integralisti islamici. Non era un attacco a Maometto, ma a un gruppo di fanatici superstiziosi e ignoranti che in suo nome ammazza le donne che vogliono andare a scuola e i maschi che bevono e fumano.”” (Checkpoint Charlie di Massimo Gramellini in “La Stampa” 9/01/2015, rubrica “Buongiorno”). 

 

Anche noi, nel nostro piccolo, ci sentiamo colpiti profondamente dalla strage al CHARLIE HEBDO ed abbiamo voluto in qualche misura esporre una minimale analisi dei pericoli connessi all’attuale situazione ideologica ispirata dall’Isis, per poi concludere con il nostro “JE SUIS CHARLIE”.

Dida foto: Edoardo Abruzzese, Gennaio 2015

Foto di Edoardo Abruzzese