di Jacopo Zucchini- E’ il ventunesimo rapporto di Legambiente sulla ecomafia che riguarda tutto il territorio della regione Toscana: e la conferma è di quelle che fanno male.

Male soprattutto per chi ancora si culla sull’illusione che la nostra regione sia terra libera da mafie, una sorta di isola felice.

Convinzione, a dire la verità, che nel momento in cui Legambiente Toscana presenta il proprio rapporto 2014, è ormai difficle mantenere se non serrando fortemente occhi e orecchie. Ma diamo voce ai dati: 1989 le infrazioni in senso assoluto rilevate, pari al 7% su scala nazionale; crescita dei reati nel ciclo dei rifiuti, che arrivano a 412 (dati 2013), sostanzialmente invariati quelli del cemento, 330. Unica nota positiva, il decremento deciso degli incendi boschivi. Un bollettino di guerra, soprattutto con riguardo al fatto che il rapporto di Legambiente riguarda in modo specifico i reati “storici” delle ecomafie.

E ciò che emerge da quello che possiamo definire un vero e proprio pool di esperti soprattutto per quanto riguarda la “mafia economica” è in buona sostanza un principio: le mafie sono infiltrate profondamente e strutturalmente dentro i settori che fanno “guadagno”, e in particolare guadagno ingente. Esempi? La Toscana è la regione più aggredita dagli affaristi di mafia per quanto riguarda il suo ingente patrimonio artistico. Perché la logica mafiosa, e questo è un punto su cui Stamp, testata giornalistica on line,  si sofferma nel corso dell’intervista con un’esperta di confische di beni mafiosi come la docente dell’Università di Bologna Stefania Pellegrini, possiede il “dono” di capire dove si annidino i soldi. Rifiuti? Contraffazioni? Agroalimentare? Specificità delle economie regionali, come appunto il patrimonio artistico senza pari della Toscana?

Ecco che i gangli del tumore si allargano e diventano metastasi aggredendo in modo subdolo l’organismo su cui impattano, sfruttando le sue stesse potenzialità. Di questo parla Pergolizzi, dopo l’ampia presentazione del rapporto fornita dal presidente Ferruzza, e sottolinea che il sesto posto della Toscana nella classifica italiana dell’illegalità ambientale non deve ingannare: il nostro territorio è quello maggiorente colpito dopo gli “insediamenti” tradizionali delle 4 regioni del Sud, Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. Un occhio particolare per i risultati delle brillanti operazioni antimafia condotte in regione, che vedono un altissimo numero di denunce, 2008, di sequestri, 559, e due arresti.

Ma la pervasività della piovra, come sottolinea Pergolizzi, ha assunto un aspetto che va al di là della stessa emergenza, ed è quello dell’internazionalizzazione delle rotte dell’economia di mafia. Particolarmente evidente questo aspetto nel settore dei rifiuti e della contraffazione. la riprova è anche la “specializzazione” che le cosche hanno messo in essere per quanto riguarda i rifiuti; superato il livello della rotta dei rifiuti nord-sud con la scomparsa di ingenti e pericolose quantità in discariche abusive e occulte (un esempio su tutti la Terra dei Fuochi, dove sono finiti gran parte dei rifiuti di imprese anche toscane insegna) ora le “imprese mafiose” sono alla ricerca di materie prime (tessili, ferrosi, plastici, terre rare) da riutilizzare e reintrodurre nel ciclo dell’economia illegale procurando non solo danni all’ambiente e alla salute pubblica, ma anche all’economia legale e al sistema stesso delle relazioni sociali. Altri dati, ancora pugnalate alla legalità toscana: rilevati 19 nuovi clan mafiosi sui settori rifiuti e cemento, per un totale, dal primo rapporto del 1994, di 321 clan censiti sul nostro territorio. Per un giro d’affari stimato, per difetto, intorno ai 15 miliardi di euro. E che coinvolge rifiuti, cemento, agroalimentare. Fra gli strumenti di contrasto a livello giuridico, annuncia Pergolizzi, una legge che sta per essere approvata in Parlamento che inserisce finalmente nel codice penale i reati ambientali. “Un testo non bellissimo – dice Pergolizzi – ma un compromesso che è un passo in avanti, un segno di civiltà giuridica”.

Già, perché il cancro mafia, come spiega in particolare Don Andrea Bigalli, non si “limita” ad uccidere il patrimonio ambientale e il tessuto economico dei paesi che aggredisce (ormai il livello è mondiale) ma va a procurare il danno peggiore in prospettiva: quello di distruggere il senso stesso della legalità, che significa in buona sostanza, uccidere il concetto stesso di bene e di male. Esempi? “Il dato sconcertante – dice Don Bigalli – è che, nonostante il dilagare della consapevolezza pubblica, i casi di corruzione aumentano. E’ questa la matrice che rende “facile” il gioco delle mafie, la madre da cui deriva tutto il resto. Se imprenditori e politici sono così deboli, se sono così corruttibili, il segnale è di un’intera società che cede le armi. Dunque, è importante che si concentri l’attenzione sull contrasto alla corruzione. Ci troviamo a fronteggiare non solo una crisi ambientale, ma anche una crisi della democrazia che produce futuro incerto. Ci manca il senso del governo condiviso, vale a dire della democrazia. Dunque, attenzione a parlare solo di politica, ognuno deve fare la propria parte. Ci stiamo allontanando da un parola, la legalità. Che da sola non basta: è necessaario integrarla con il concetto di bene comune”.

Fra i vari mezzi di contrasto alle mafie, Don Bigalli ne sottolinea uno che i lettori di Stamp già conoscono: la mappatura regionale dei beni confiscati. Un modo concreto, simbolico e culturale per affermare che il controllo del territorio “non è roba loro”, “deve essere chiaro che questo Paese – don Bigalli fa una pausa – non sarà mai loro”.