a cura della redazione di OrientePress –

La crisi economica sta condizionando negativamente anche la sana alimentazione, diritto fondamentale di ogni creatura.

E mai la voce di un Papa è stata così tempestiva!

Custodire le risorse naturali in modo virtuoso è anche una questione del tipo di pietanze che si decide di mettere in tavola. In questo senso, gli investimenti per una riscoperta della dieta mediterranea sono essenziali anche un punto di vista sanitario, oltre che ambientale.

Il messaggio, in concomitanza “accidentale” con la pubblicazione di “Laudato si’…” di Papa Francesco, arriva dall‘XI Forum dell’informazione cattolica per la custodia del creato, organizzato recentemente a L’Aquila dall’associazione Greenaccord, in collaborazione con la Regione Abruzzo e il Comune de L’Aquila.

A evidenziare i vantaggi della dieta mediterranea è Giovanni De Gaetano, ricercatore dell’Istituto neurologico Neuromed. “Un’alta adesione a questo regime alimentare dimezza il tasso di mortalità in soggetti diabetici. E il rischio di problemi cardiovascolari scende di circa il 40%”. Dati che, più in generale, evidenziano un miglioramento della qualità della vita: più si mangia in modo corretto e più diminuiscono i problemi fisici e mentali”.

Purtroppo, le evidenze scientifiche non sono altrettanto forti della crisi economica che dimostra di incidere in modo negativo sul rispetto dei dettami della dieta mediterranea da parte delle famiglie italiane. “In appena cinque anni si è passati dal 33,7% di adesione registrato nel 2005 al 17,3% del 2010”.

Un trend che riguarda tutte le fasce d’età. La controprova di questi dati si ha incrociando il rispetto dell’alimentazione italiana tradizionale con le fasce di reddito: “Più si ha disponibilità economica e più si mangiano ingredienti sani. L’inizio della crisi economica nel 2007 ha divaricato le disuguaglianze e rischia di avere conseguenze a lungo termine sulla salute degli Italiani, soprattutto nelle fasce più deboli”.

Un problema serio da più punti di vista: sanitario ma anche per il tessuto economico nazionale perché finisce per essere un danno per i produttori agricoli locali.

Per fronteggiare una questione che coinvolge purtroppo centinaia di migliaia di persone nel nostro Paese, bisogna agire in due modi: tutelare i prodotti nazionali di qualità investendo sulla tracciabilità e contrastare lo spreco di cibo nella grande distribuzione. “Ogni prodotto immesso in commercio – osserva Giancarlo Belluzzi, esperto di Analisi del Rischio in Sicurezza alimentaredeve avere una sua traccia per risalire alla materia prima con cui è stato realizzato. Ci sono filiere che già adesso sono completamente tracciate dall’inizio alla fine, qualcun’altra si sta ancora attrezzando. La filiera del pomodoro sta iniziando a usare i droni per fotografare i prodotti durante la raccolta e durante la trasformazione per fornire informazioni puntuali ai consumatori”.

 

E in quest’ottica di valorizzazione, una mano preziosa può venire dal ripensamento delle filiere agricole per costruire sistemi territorialmente circoscritti. Quelli che, con una semplificazione giornalistica, forse eccessiva ma efficace, sono ormai noti come “sistemi a chilometri zero”. “Queste filiere – spiega Anselme Bakudila, del Centro Studi di Slow Food – sono localizzabili geograficamente, offrono maggiori garanzie di freschezza e genuinità dei prodotti, che sono scambiabili senza intermediazioni, assicurano una maggiore remunerazione ai produttori e permettono una costruzione di un nuovo rapporto con i consumatori”.

Ma quanto costano? E’ questa la domanda sempre più frequente!

Un nuovo rapporto tra chi produce e chi consuma è essenziale per cambiare mentalità e capire, insieme, l’importanza della cura comune delle risorse naturali. “Le filiere corte fanno incontrare i due attori fondamentali della filiera stimolando la costruzione di un giusto prezzo, che assicuri cibo di qualità a chi mangia e giusto prezzo a chi produce”.

E, intanto, anche l’ambiente ringrazia, perché un simile sistema evita lo spopolamento delle zone rurali e offre un’alternativa valida alla dilagante cementificazione e ai danni sul territorio in termini di dissesto idrogeologico che essa porta con sé.