– di Claudio Molinelli

E la favola continua : altre 48 ore di emozioni per Claudio Ranieri e il suo Leicester, a coronamento di una stagione indimenticabile culminata con la conquista della Premier League: il tecnico romano e i giocatori hanno ricevuto a Stamford Bridge la ‘guard of honor’, la passerella trionfale con cui giocatori e tifosi del Chelsea hanno reso omaggio all’impresa delle Foxes.

In 130 anni di storia mai la squadra di Leicester, città di 270.000 abitanti, aveva vinto il campionato e la sorpresa è ancora maggiore se si considera che la squadra lo scorso anno si era salvata dalla retrocessione all’ultima giornata e anche quest’anno partiva con l’obiettivo di restare nella massima serie. All’inizio del torneo la sua vittoria veniva quotata a 5000/1, così che i pochi temerari che hanno scommesso si sono ritrovati molto più ricchi. Nulla faceva pensare che le anonime “Foxes”, le “volpi” di Leicester, si sarebbero imposte agli squadroni potenti di Manchester, di Liverpool e di Londra. E invece, partita dopo partita, la squadra ha superato tutti gli ostacoli vincendo il campionato con due giornate d’anticipo. Il torneo inglese è ormai offerto dalle televisioni in tutto il mondo e così la ribalta delle gesta del Leicester è diventata mondiale: molti appassionati o semplici curiosi giungevano da mezzo mondo il sabato a Leicester anche con voli low-cost per assistere alle partite della squadra.

E successo che un manipolo di giocatori sconosciuti è assurto a improvvisa e grande notorietà: James Vardy, il bomber della squadra determinante con i suoi gol, fino a qualche anno fa giocava nei dilettanti lavorando in fabbrica; Kantè, francese d’origine africana, e Riyad Mahrez, algerino, colonne della squadra, provengono dalle serie inferiori francesi; Drinkwater, fu scartato dal Manchester United e Schmeichel, il portiere danese, era noto finora solo perché figlio d’arte. Ma nel calcio il nome conta fino a un certo punto: l’affiatamento, la determinazione, l’unità d’intenti a volte consentono a squadre prive di campioni e di non eccelso tasso tecnico di primeggiare in virtù della forza di squadra, talvolta molto superiore alla semplice somma dei valori individuali.

Determinante, come ben s’intuisce, è stato il ruolo giocato dall’allenatore, proprio quel Claudio Ranieri che noi italiani, e fiorentini, ben conosciamo. L’allenatore romano, classe 1951, ha avuto una lunga e singolare carriera, avendo guidato quasi tutte le maggiori squadre italiane e alcuni forti club stranieri. Dopo aver allenato Cagliari e Napoli, arriva alla Fiorentina, dal 1994 al 1997, e dopo averla riportata in serie A vince una Coppa Italia e una Supercoppa Italia. Dopo allena in Spagna, Valencia e Atletico Madrid, e in Inghilterra, Chelsea. Tornato in Italia, eccolo al Parma, poi alla Juventus, e quindi alla Roma, dove aveva cominciato da calciatore, e all’Inter. Poi di nuovo all’estero, Monaco (Francia), nazionale Greca, e finalmente Leicester. Competente e tenace, sempre signorile, arriva spesso secondo, come nella sua Roma dove sfiora lo scudetto nel 2010, guidando sì grandi squadre, ma quasi mai in momenti propizi ai successi. Giunge quindi meritatissimo il clamoroso successo di Leicester, un exploit di cui si parlerà a lungo e che premia non solo le sue capacità d’allenatore, ma soprattutto l’uomo, serio, positivo, misurato, che nel giorno del trionfo era volato a Roma per pranzare con l’anziana madre.

Il successo del Leicester, una delle più grandi sorprese sportive di sempre, dimostra che anche oggi in uno sport professionistico sempre più dominato dai soldi, l’affermazione di una piccola squadra è possibile, in verità più facilmente in Inghilterra che in Italia dove l’ultima impresa simile la firmò il Verona nell’ormai lontano 1985. E tutto questo è linfa vitale per milioni d’appassionati, un motivo per tornare a credere nella pulizia del calcio e sperare per qualunque tifoso di una squadra “normale” che un giorno ce la possa fare.