– a cura del direttore –

Non è solo il titolo del libro che Antonio Loffredo ha scritto per  fissare sulla carta e nella memoria di una comunità senza confini non solo una storia vera,  una testimonianza di valori, ma, e soprattutto, un progetto di vita !

In questa circostanza vorrei fare una integrazione “ Noi, ragazzi, del rione Sanità”, perché io ho conosciuto quei ragazzi: mi hanno sapientemente guidato nella catacombe di San Gennaro, mi hanno illustrato minuziosamente e con dovizia di contenuti storico-artistici-religiosi gli affreschi di Luca Giordano nella basilica di Santa Maria , mi hanno accolto con professionalità, stile e affabilità nel bad&breakfast, mi hanno accompagnato per le vie e le botteghe del rione Sanità  con orgoglio di appartenenza…sono tornata a Firenze con il cuore gonfio di tenerezza, di conoscenza e riconoscenza, con il desiderio di condividere progetti.. perchè l’opportunità di toccare il cuore di Napoli è preziosa, non capita a tutti… ed io mi ritengo comunque molto fortunata!!

Adesso uno di quei ragazzi non c’è più, non è più  uno dei ragazzi del rione Sanità …è un ragazzo e basta!

E qui faccio continuare Antonio Loffredo,  Alex Zanotelli e Giuseppe Rinaldi , i preti del rione Sanità.

Abbiamo avuto modo di conoscere Genny al di là della cronaca giornalistica:un adolescente nato e cresciuto in un quartiere difficile di questa nostra amata città di Napoli, spaccata in due: la Napoli- bene e la Napoli ‘malamente’. Genny è nato e cresciuto in uno di questi quartieri difficili. La morte violenta di Genny nella notte del 6 settembre , proprio qui, nella piazza della nostra chiesa S. Maria alla Sanità, ci impone di utilizzare le parole con attenzione. Sentiamo tutta la gravità del momento. La sequela di drammatiche morti che si consumano da anni nelle strade della nostra parrocchia è intollerabile per la nostra gente e per tutte le donne e uomini di buona volontà. Troppe lacrime senza ragione, troppe famiglie devastate ci accompagnano alla Sanità e ci interrogano spesso senza trovare risposte. La giustizia è la prima risposta. Questo è un dovere dello Stato. Le scuole, tante scuole di qualità e con un tempo pieno, è un’altra risposta seria in un quartiere dove la scuola è a pezzi. Questo è un altro dovere dello Stato. Una chiesa che diventi sempre più comunità attiva sul territorio, che diventi popolo di Dio, capace di alzare la testa è un’altra risposta importante. Questo è un dovere di noi preti. Noi stiamo provando da anni, fra mille difficoltà, a camminare con questo nostro popolo. Al di là di una povertà diffusa, c’è un consumismo che azzera le coscienze nella formazione dei nostri figli più giovani, e una violenza che serpeggia sulle strade di questo rione.   Questo nostro impegno pastorale non sentiamo che sia sostenuto dalle istituzioni e dalla politica, che sembra così distante dai problemi della gente. Oggi è il tempo delle lacrime e dei rimpianti, per quanto e come non siamo stati all’altezza di un compito forse troppo arduo da affrontare da soli. L’uccisione di Genny ce lo ha rivelato in tutta la sua crudezza.                                                                                                    

 Ecco perché , come sacerdoti, abbiamo deciso di sospendere le messe e di celebrare un’unica Eucaristia domenicale in piazza, dove è stato ucciso Genny, mentre scappava da pistole che sparavano all’impazzata . Abbiamo sentito il bisogno di un momento di penitenza insieme al nostro popolo in quella piazza, dove il nome del  Dio della vita era stato profanato nell’uccisione di un giovane innocente. “Abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui- ha gridato il popolo, leggendo insieme le parole del profeta Daniele – allontanandoci da Te, abbiamo mancato in ogni modo!”E le parole del Profeta Isaia, lette insieme da tutto il popolo:”Anche moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei:le vostre mani grondano sangue.” Anche noi, come sacerdoti, ci siamo sentiti interpellati:non potevamo far finta di niente, indossare gli abiti delle nostre ‘liturgie’ , come  se niente fosse avvenuto. Sentivamo tutti che alzare le nostre mani, grondanti sangue, era un ‘abominio’ ai Suoi occhi. Sì, le mani di tutti , da quelle degli anziani presenti con gli occhi pieni di lacrime e preoccupazione, a quelle dei piccoli Vincenzo e Diego, seduti sullo scalino, accanto all’altare improvvisato sul sagrato. Abbiamo poi benedetto l’acqua in un catino chiedendo al Signore di lavarci ”Purificaci, Signore, saremo più bianchi della neve” , ripeteva il popolo, mentre tutti si aspergevano con l’acqua. Questa Eucaristia, celebrata in piazza, è stata per tutti un invito risoluto a coltivare la Vita, a ogni costo. E’ stato un momento ‘importante’ per il Popolo di Dio, un invito ad alzare la testa, a mettersi in piedi. Infatti subito dopo la Messa, un gruppo di donne della sanità è venuto da noi sacerdoti per chiederci di aiutarle  a preparare una fiaccolata. “Non ne possiamo più, dobbiamo reagire.” E’ la prima volta che questo è avvenuto alla Sanità: la volontà di donne, mamme di questo quartiere di dire no alla camorra, all’ingiustizia e a morti innocenti.                                                                                                                  Per questo abbiamo sostenuto la  volontà di queste mamme a fare una marcia con fiaccole attraverso il rione sanità. Con un’imponente assemblea pubblica, credenti e non, nella nostra chiesa insieme abbiamo pianificato il tutto. L’8 settembre sera, piazza Sanità si è riempita di donne, bambini, giovani e uomini. All’imbrunire è partito il corteo con uno striscione”No camorra”, portato da donne e bambini. E dietro migliaia di persone. Per la prima volta, il popolo della Sanità(soprattutto le donne!) ha reagito, ha alzato la testa. Ci sembrava un miracolo! E’ stata una marcia, attraverso il quartiere, silenziosa e composta, scandita solo ,ad intervalli, dal nome di Genny. Il tutto si è concluso ritornando in Piazza Sanità, con la benedizione dell’olivo, piantato vicino al luogo dove è stato ucciso Genny:l’ulivo, simbolo di pace e di vita, nonostante tutto. E dopo la benedizione, tenendoci tutti per mano, in questa grande piazza ,coraggiosamente, abbiamo invocato il nome di Dio come Padre Nostro, il Papà di tutti noi. Un momento intenso e commovente. Noi, non ci facciamo illusioni: quello che è avvenuto è solo un piccolo inizio, non è sufficiente, ma è il segnale che un popolo, una comunità ferita sente il bisogno di rappresentarsi come tale. Come sacerdoti ci impegniamo a difendere,a coltivare e a far crescere la giustizia. Come sacerdoti interpelliamo anche, con voce decisa, tutti quelli che hanno ruoli e responsabilità pubbliche perché, altrettanto si impegnino a fra crescere la giustizia in questo quartiere.                                                                    

Siamo fiduciosi che queste risposte saranno nel segno di una storia che deve cambiare. Le dobbiamo alle attese del nostro popolo.                                                                   Siamo certi che la VITA vinca, nonostante tutto.