servizio a cura di Giuseppe Ponterio – foto di Edoardo Abruzzese –

La recente conferma di Eike Schmidt alla guida della Galleria degli Uffizi, “ il museo più bello del mondo”, mi ha indotto ad una riflessione ampia sulla mia “storia” di studente di storia dell’arte.

C’è una domanda che continuo a pormi da quando studiavo alle superiori e alla quale ho sempre cercato una risposta. Non si tratta di una di quelle domande complesse, esistenziali come: “qual è il mio scopo sulla terra”?, “perchè sono qui, ora”? oppure: ” dopo la vita cosa c’è”?

Quesiti a cui molti ragazzi, me compreso, cercano una risposta senza però ottenerla; qualcuno la cerca nella religione sebbene, a mio modestissimo parere, questa mi sembrerebbe una soluzione troppo facile.

Dopo tale premessa la mia domanda è: ” Come è possibile che in Italia l’insegnamento della storia dell’arte, negli istituti superiori, si riduca nel migliore dei casi a solo due penosissime ore alla settimana? Come può un insegnante, non dotato di poteri speciali e ripeto con una o due ore settimanali, riuscire a spiegare ai propri alunni che essi vivono in un Paese che conserva il 70% di beni del patrimonio mondiale, che ha visto nascere donne e uomini che non solo hanno contribuito ad arricchire e ad ampliare la conoscenza e la coscienza storica, letteraria, scientifica del proprio Paese, ma di interi Paesi”?

Io sono fermamente convinto che insegnare oggi in Italia, la storia dell’arte sia anzitutto un privilegio, come lo sono tutte le cose in via d’estinzione… E’ come avere ipoteticamente una penna preziosissima sapendo che nel mondo ne rimangono solo due esemplari; ma allo stesso tempo ciò rappresenta una sfida non indifferente. Insegnare storia dell’arte significa prima di tutto rendere consapevoli gli studenti del contesto in cui essi vivono e del mondo che circonda loro, quindi promuovere una cittadinanza attiva attraverso la visita di musei, gallerie, biblioteche e tutte le associazioni culturali presenti sul territorio; facendo quindi capire ai ragazzi l’importanza della conservazione e della valorizzazione dei beni artistici. Insegnare questa disciplina significa trasmettere il valore del confronto da cui nascono idee, progetti, ma soprattutto attraverso “l’altro” riesco ad osservarmi e ad osservare meglio, sicuramente in maniera più ampia.

Attraverso “l’altro” innumerevoli artisti ci hanno restituito una realtà completa e meglio interiorizzata, si pensi ad esempio all’influenza esercitata dai giapponesi Hiroshige e Hokusai sulla pittura di Gauguin o di Van Gogh. “L’altro”, come disse il maestro Andrea Camilleri :”non è che io riflesso allo specchio”.

Stesse paure, stesse emozioni ma prima di tutto due gambe, due braccia, un cervello e un cuore… La differenza allora dov’è? Sta a noi scovarla, ma attraverso la conoscenza, non il pregiudizio.

L’arte in tutte le sue sfaccettature parla un linguaggio universale, non conosce confini, non conosce nessun muro tra Stati Uniti e Messico, il linguaggio artistico getta ponti, come suggerisce il nome del famoso gruppo artistico tedesco espressionista “Die Brucke” ovvero “il ponte”. Esistono esempi di lieson fra due Paesi sul piano artistico sin dai tempi del grande Leonardo e del suo trasferimento in Francia, dove andarono a lavorare poi nel Cinquecento pittori come Rosso Fiorentino.

E’ proprio per tale motivo che le arti rifiutano i nazionalismi e quindi i trinceramenti di pensiero. Ci è impossibile pensare alla testa di un artista come ad una trincea bloccata dall’una e dall’altra parte, vero è che negli anni ’30 gli artisti, erano al servizio di quei trinceramenti di pensiero; ne sono testimonianza tanto la pittura parietale di Mario Sironi e Achille Funi quanto le architetture di Marcello Piacentini, Adalberto Libera o di Giuseppe Terragni.

A mio avviso la grande sfida per un insegnate di storia dell’arte è rappresentata dall’educare alla bellezza, ma alla bellezza vera, quella che avevano ben in mente Raffaello quando dipingeva ” la Trasfigurazione” (1519 ca.) o Michelangelo con la celeberrima “Pietà” (1499 ca.). Questo forse è il compito più arduo in un mondo in cui la mediocrità e le cadute di stile sono all’ordine del giorno, a cominciare dalla nostra classe dirigente che invece di fornire stimoli e buoni esempi, indirettamente, autorizza maniere riprovevoli. Solo e soltanto il “bello” educa e genera a sua volta bellezza, ma ci vuole qualcuno che lo spieghi e che soprattutto lo applichi quotidianamente. Spiegare concretamente alle nuove generazioni che il mondo che ci circonda è casa nostra e come tale, è compito di tutti renderlo pulito, ordinato e se possibile migliore di come ce lo hanno lasciato i nostri nonni; pensare ciò come se, ad esempio, ognuno di noi ereditasse una villa storica del Settecento ormai al degrado… Sta a noi farla ritornare agli antichi splendori, ma questo risultato è frutto di sensibilità e cultura, caratteristiche , purtroppo, non molto diffuse di questi tempi!

Educare alla bellezza significa, in primo luogo, rendere consapevoli i ragazzi del potenziale di cui dispongono, che essi sono davvero il futuro del mondo e che la scuola è maestra e guida in questa prospettiva. Spiegare loro che non sono semplicemente un numero sul registro, una nota di demerito o una di merito… Per fortuna sono tanto altro, ma è proprio questo “tanto altro” che spesso la scuola non riesce a valorizzare e promuovere, probabilmente perché il sistema scolastico in Italia, specchio della società, è fermo al giudizio.

La bellezza parte dal rispetto per se stessi. Rispettare se stessi significa diffondere a chi ci circonda il profumo inebriante del bello. Solo chi sceglie questa strada può veramente rispettare ciò che lo circonda e di conseguenza dargli un valore. Tuttavia non per forza ciò che abbiamo davanti è necessariamente apprezzabile o di buon gusto… Ad esempio a Roma, città in cui vivo e studio, è diffusa l’idea, soprattutto fra chi studia Beni culturali o storia dell’arte stessa, che il cosiddetto “Vittoriano” o “Milite ignoto” (associato nella forma ad una macchina da scrivere), sia un’opera completamente decontestualizzata rispetto al contesto in cui si trova, ovvero tra il Campidoglio e i Fori Imperiali. Eppure, nonostante questo giudizio discutibilissimo , capiamo perfettamente cosa ha rappresentato, la ragione per cui è stato costruito, il periodo storico che lo ha visto nascere e molto altro. Dunque in poche parole diamo un valore storico-artistico come testimonianza diretta del passato, un simbolo storico che, come tanti, è espressione di coscienza collettiva. A tal proposito urge una riflessione… In un’Italia in cui molti, troppi, sostengono il nazionalismo come soluzione politica, evidentemente non ci si rende conto, soprattutto da parte di coloro che abbracciano tale orientamento che, l’immagine di un Paese forte e autonomo si manifesta anche e soprattutto nella capacità che ha un governo di difendere le proprie ricchezze e “l’oro nero” del nostro Paese è l’Arte.

E allora ognuno faccia la sua parte! A casa, a scuola, nei palazzi del potere!