– di Francesca Bani –

La mattina di domenica 10 settembre Livorno si è svegliata incredula e attonita. La devastazione e la morte l’hanno segnata in maniera indelebile. Una città colpita a macchia di leopardo.

In alcune zone il nubifragio ha insistito martoriandole, i rii e i torrenti solitamente in secca si sono gonfiati e l’onda di piena si è riversata su case e persone. In altre neppure si è avuta la percezione della straordinarietà del fenomeno.

I quartieri più colpiti: Ardenza, Collinaia, Monterotondo, Montenero, Salviano nella zona sud della città. Stagno nella zona nord della città.

Nove le vittime mietute dall’alluvione.

Il piano seminterrato di una villa di viale Nazario Sauro, posta tra l’Accademia Navale e lo stadio, si trasforma in tomba per la famiglia Ramacciotti: il padre Simone, la madre Glenda, il loro bimbo più grande Filippo di soli 4 anni e il nonno Roberto che era intervenuto dal piano di sopra per tentare di salvarli. La piccola Camilla di 3 anni, l’unica ad essere messa in salvo con l’aiuto del vicino, Marco Gazzarrini, prima che l’acqua inesorabile travolga tutto.

Raimondo Frattali, Roberto Vestuti e Gianfranco Tampucci vengono investiti dall’acqua nelle loro case tra Montenero basso e Collinaia. Matteo Nigiotti, di ritorno dal lavoro, muore in un incidente stradale probabilmente dovuto al maltempo.

Martina Bechini, giovane sposa poco più che trentenne, viene portata via dall’acqua insieme al marito, Filippo Meschini, dalla sua abitazione in via Garzelli a Collinaia. Trascinati per chilometri lui riesce a salvarsi aggrappandosi ad un canneto, lei non ce la fa e il suo corpo è ritrovato nel giardino di una villa vicino alla foce del Rio Ardenza.

A Stagno nella zona nord della città l’esondazione del torrente Ugione ha provocato danni alle abitazioni e al vicino stabilimento dell’Eni dove si è verificato uno sversamento di idrocarburi.

Numerose le aziende e gli esercizi commerciali danneggiati, terreni agricoli sommersi, serre e capannoni distrutti.

Il rio Ardenza insieme al rio Maggiore e al torrente Ugione sono i principali responsabili della piena. Ma anche il rio Banditella, parzialmente tombato, che attraversa Montenero e ha distrutto piazza delle Carrozze, dalla quale parte l’antica funicolare per salire al Santuario della Madonna di Montenero. Il torrente Chioma che ha minacciato e in parte danneggiato Quercianella, e altri corsi d’acqua minori.

Le colpe maggiori però sono da attribuire ad un’urbanizzazione intensa che non ha tenuto conto del naturale scorrere di questi antichi corsi d’acqua.

Le prime tombature risalgono alla fine dell’800 quando fu progettato il complesso degli edifici dell’Accademia Navale, a fianco del preesistente lazzaretto, sede originaria. Il rio Maggiore ha la sua foce proprio all’interno dell’Accademia. Poi negli anni ’30 del ‘900 con la costruzione dello stadio, l’acqua del rio scorre proprio sotto all’edificio.

E a seguire ponti, muri a bloccare il corso di rii, torrenti e fossi. Abitazioni che col passare dei decenni sorgono a fianco dell’acqua coperta da colate di cemento o sullo stesso greto dei rii.

Colpe antiche e recenti.

Un evento eccezionale, è vero, che si verifica ogni 500 anni, imprevedibile nella sua potenza distruttiva. Il temporale che ricarica la sua forza all’infinito passando sull’acqua del mare insolitamente calda. La pioggia che si riversa sul terreno arido (sono stati molti i mesi di siccità e calura) e scivola come su asfalto senza poter essere assorbita. L’acqua che abbatte tutto ciò che incontra sul suo percorso, alberi, edifici ed esseri umani, memore dei suoi primitivi spazi. Ma i cambiamenti climatici sono in atto da tempo. Solo noi uomini sembriamo non aver memoria del passato, né sguardo verso il futuro.