– a cura di Edoardo Abruzzese in collaborazione con Giuseppe Ponterio –

– Foto di Edoardo Abruzzese –

La tribù degli alberi : il grande salto che Stefano Mancuso ha fatto dalla saggistica alla letteratura, un romanzo presentato ieri in prima assoluta nell’Aula Magna dell’Istituto Salesiano a Firenze, in collaborazione con la Libreria Gioberti.

La narrazione di una favola in cui l’essere umano viene lasciato fuori , sono gli alberi, esseri immobili, questa volta a parlare, ad agire, e a dare il buon esempio.

Guardiamo alla vita sempre solo dal nostro punto di vista, o magari da quello degli animali, senza renderci conto che siamo una frazione irrilevante del nostro pianeta: appena lo 0,3 per cento. Riteniamo passive le piante, che però occupano la porzione più grande della vita sulla terra. Ho scritto quindi un romanzo dalla prospettiva dei vegetali, che qui fanno cose tipiche di noi uomini: parlano, si muovono, agiscono. Già. Stavolta lo scienziato si è preso libertà che la scienza considera tabù, come rendere umano ciò che non lo è. Però io ritengo che non possiamo comprendere nulla se non lo riportiamo al nostro livello. Siamo uomini e capiamo solo ciò che è simile o comparabile a noi. E siccome capire è il prerequisito di amare – e quando si ama qualcosa, lo si imita – ho voluto dare agli alberi comportamenti umani: vivono in una comunità, si scambiano informazioni. Però non farebbero mai male ad altri esseri viventi”.

 La tribù degli alberi è soprattutto un apologo sulla diversità e l’inclusione:

“Gli alberi accolgono chiunque nella loro comunità, senza chiedere nulla al nuovo arrivato. E sono diversi gli uni dagli altri: la diversità è un valore della natura. Insegnamento che ho voluto traslare in forma narrativa”. Del resto non fu lo stesso Darwin a sottolineare quanto la diversità sia fondamentale nell’evoluzione? Già, perché l’evoluzione non premia il più forte, il più intelligente, il più furbo, ma il più adatto tra gli individui a sopravvivere in funzione del nuovo ambiente che si viene a creare. Siccome non sappiamo quali ambienti ci aspettano, la caratteristica più importante che gli esseri viventi devono avere per non cedere è risultare i più diversi possibile. Perché nell’enormemente differente c’è sempre colui che potrà continuare la specie. La diversità come motore dell’evoluzione, senza diversità siamo stazionari, fissi. E quando siamo fissi, siamo morti”.