di Claudio Molinelli – Un lunghissimo, interminabile applauso saluta Simone Cristicchi al termine del suo spettacolo “Mio nonno è morto in guerra” rappresentato in un Teatro dell’Antella gremito fino all’orlo.

Quattordici racconti tratti dalla raccolta omonima che lo stesso Cristicchi ha pubblicato nel marzo scorso, basata su ricordi e testimonianze di soldati e civili durante il secondo conflitto mondiale.

Abbiamo chiesto a Cristicchi, già affermato cantante prima di diventare attore, in quale veste si senta più a suo agio. Ci ha risposto che cantare e recitare sono per lui ugualmente importanti, due forme espressive al servizio del suo bisogno di raccontare gli umili, gli ultimi e le loro storie.

Cristicchi si presenta su un palco disadorno, ci sono solo quattordici sedie accatastate, è accompagnato da due musicisti, Riccardo Ciaramellari al pianoforte e Gabriele Ortenzi che suona strumenti giocattolo. I racconti, tanto brevi quanto intensi e pervasi di reale pathos, sono intervallati da brani cantati dallo stesso Cristicchi e tratti dal repertorio della canzone popolare e d’autore, Ivano Fossati, Boris Vian, canti alpini reinterpretati, tra cui spicca la splendida riproposta di “La storia siamo noi” di Francesco De Gregori.

Simone Cristicchi si avvale di un’imponente presenza scenica e si serve di una voce forte e nitida che imprime alla narrazione una forza inconsueta, una recitazione essenziale, priva di artifici che mira a restituire l’essenza di storie, situazioni, persone. Rivivono così i drammi, le privazioni e le sofferenze di semplici uomini e donne travolte dalla follia della guerra, e quelle dei prigionieri, degli alpini durante la ritirata di Russia, dei partigiani, degli esuli dell’Istria.

In questa drammaticità non mancano tuttavia momenti d’ironia e leggerezza a testimonianza che la vita va avanti, comunque, anche nei periodi più cupi.

In uno spettacolo compatto dall’inizio alla fine, alcuni racconti spiccano per forza espressiva: quello sulla fame, la fame assoluta che si prova in tempo di guerra e che non si può più dimenticare. Quello sull’attesa di un fratello scomparso, dato per disperso, di cui, dopo tanti anni, torna a casa solo la piastrina militare riportata da un raccoglitore di reperti bellici. Sorprendente e surreale è poi una figura grottesca cui dà vita l’artista romano, un anziano colonnello sinistro e un po’ folle che irride il pacifismo e inneggia grossolanamente alla guerra. Emotivamente forte è invece il racconto dell’alpino durante la ritirata dalla Russia, con la tangibile sofferenza causata dal freddo disumano e la disperazione per i compagni caduti. Assai toccante è anche il brano dedicato al magazzino 18 del porto di Trieste, quello dove gli esuli istriani ammassavano le loro masserizie dopo essere stati costretti ad abbandonare la loro terra e cercare riparo in una Italia che li vedeva come estranei, se non come nemici.

A suggello delle vicende narrate Cristicchi cita le memorabili parole di Piero Calamandrei sui caduti per la libertà, e alla fine elenca i nomi dei testimoni dei fatti mostrati, i veri protagonisti.

“Mio nonno è morto in guerra” è uno spettacolo vibrante, intenso, emozionante, uno di quelli che restano nella memoria e nel cuore.