di Claudio Molinelli – In scena al teatro Garibaldi di Figline Valdarno lo spettacolo “Aquiloni”, allestito da Produzioni teatrali Paolo Poli, liberamente tratto da Giovanni Pascoli. Paolo Poli non è nuovo a riduzioni sceniche di scrittori e poeti italiani, in precedenza Gozzano, Fogazzaro, Palazzeschi. Questa volta partendo dal nucleo poetico costituito da “Myricae” e dai “Poemetti” pascoliani, Poli costruisce uno spettacolo che intende rievocare le atmosfere dell’Italia rurale d’ inizio Novecento, ma anche omaggiare la Belle Epoque contemporanea con balletti, coreografie e motivi musicali in stile “caffè concerto”.  L’assunto, un po’ azzardato e, secondo noi, teoricamente discutibile per la sostanziale estraneità del Pascoli a quel clima, viene realizzato comunque in maniera soddisfacente, per la bravura senza tempo dell’interprete fiorentino e degli altri quattro attori-ballerini e per il contributo fondamentale dato dalle scenografie di Emanuele Luzzati, vere e proprie opere d’arte, e dai costumi fantasiosi e sgargianti di Santuzza Calì, oltre che dall’efficacia di musiche e coreografie.

L’universo poetico di Giovanni Pascoli riprende forma e vita sulla scena, attraverso le declamazioni di numerose poesie, da “L’Aquilone” al “Lauro, da “Novembre” a”Il fiume”, e la sapiente parola del poeta, il fine ordito dei suoi versi tornano a incantare la platea. Rivive tutto un mondo fatto di deschi familiari, attrezzi di lavoro, piccole cose domestiche; si riassapora il sottile fascino di poesie che rammentano il ritmo delle stagioni, con la neve che fiocca e il vento gelido che urla d’inverno. E le scenografie di paesaggi agresti e borghi rurali incorniciano magnificamente parole e rime dei componimenti. Gli interpreti restituiscono con efficacia i giochi di parole, le onomatopee, i suoni degli animali, che innervano i versi di Pascoli.

Come detto, lo spettacolo non si esaurisce nelle poesie di Pascoli ma propone una vasta carrellata di canzoni e motivi popolari di fine Ottocento e inizio Novecento. Si va da “Addio Lugano addio”, canzone anarchica del 1895, a “Tripoli bel suol d’amore”, popolare inno del 1911 dedicato alla conquista italiana della Libia; né mancano motivi della tradizione toscana come la ninna nanna “Fate la nanna coscine di pollo” e “La biritullera”.  Anche il repertorio internazionale è utilizzato per i momenti canori, accompagnati da balletti corredati da sontuosi costumi e ricche coreografie: ecco allora “La cucaracha”, popolare aria messicana resa famosa dalla rivoluzione di Pancho Villa e Zapata; walzer di area austroungarica, e brani degli chansonniers francesi.

Prima che cali il sipario Poli regala al pubblico un bis a sorpresa, declamando un brano del quarto capitolo de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni.

Paolo Poli arricchisce la sua carriera con un’altra prova intessuta di stile e padronanza scenica, mostrando la versatilità delle sue doti di attore, cantante e ballerino. Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti, Alberto Gamberini e Giovanni Siniscalco costituiscono l’affiatato gruppo che affianca Paolo Poli nelle varie vesti di dicitori, cantanti, ballerini, spesso “en travestì”.

L’indubbio merito dello spettacolo è la riproposta di un classico della poesia italiana, in un contesto assai diverso dal solito, all’interno di un’allestimento scenico che utilizza e esalta tutte le componenti della “macchina-teatro”.