– di Claudio Molinelli – Foto di Edoardo Abruzzese –

E’ il titolo della conferenza, la prima di un ciclo organizzato dall’Archivio storico del frutto e del fiore, condotta da Roberto Fedeli, ex dirigente della Comunità montana della montagna pistoiese, presso il comando regionale toscano del Corpo Forestale dello Stato (quello che non dovrebbe più esistere!!!).

La premessa: l’uso della parola, supportata da immagini, per porre l’attenzione sul ruolo dei boschi e delle foreste come protagonisti della vicenda umana, sfatando una visione antropocentrica che li relega sullo sfondo. Le foreste hanno un ritmo che a noi sfugge e che segna le tappe di un mirabile adattamento all’ambiente.

Qualche esempio: l’abete rosso della riserva del Campolino all’Abetone è l’ultimo discendente della flora dell’era glaciale e si trova in un territorio che resiste al cambiamento climatico, sono specie botaniche che si trovano solo ad altitudini alpine o a latitudini prossime ai poli. Il territorio è un documento che ci racconta, a livello ambientale, come siamo stati e cosa ci attende. Con l’aumento costante di anidride carbonica nell’atmosfera la pianta è l’unico organismo che assorbe CO2 e restituisce ossigeno e per questo oggi il bosco è più importante che in passato; le piante respirano, la loro fisiologia è simile a quella umana, sono organismi a noi complementari, loro produttori, noi consumatori d’ossigeno.

Nella storia c’è stato un lungo periodo che ha avvicinato gli alberi, in particolare gli abeti, alla religione. La spiritualità medievale dei monaci vallombrosani e benedettini ha incentivato la coltivazione degli abeti, percepiti il ponte che collega la terra al cielo e che quindi avvicina a Dio: ecco spiegate le abetine di Vallombrosa, Camaldoli, La Verna, luoghi che, sia per il contesto paesaggistico che quello storico artistico, si stagliano contro il cielo.

Anche l’architettura, nel lasso di tempo fra il 1000 e il 1500, ha risentito di questa spinta mistica, vedendo affermarsi lo stile gotico che privilegiava forme slanciate verso l’alto come i pinnacoli dei campanili.

Nel corso dei secoli l’utilizzo delle piante è stato sottoposto a necessità alimentari, come nel caso dell’olivo o del castagno, oppure materiali, con lo sfruttamento intensivo della legna. L’intervento dell’uomo sulla struttura del bosco è stato complesso; spesso qui da noi in Toscana si è fondato sul concetto che ciò che è utile è anche bello: ad esempio le quinte dei cipressi, così scenografiche, hanno avuto origine dall’esigenza di proteggere le coltivazioni dal vento. La legge naturale da parte sua propenderebbe per una mescolanza assoluta delle varie specie: ne è esempio la radura, “spazio della democrazia naturale” dove s’incontrano le diverse piante coi loro semi, animali, dagli insetti ai daini ai caprioli, i fiori e la piccola flora.

Oggi alle foreste si richiedono servizi fondamentali, essenziali per la salvaguardia del territorio come quello idrogeologico, il compito di regimare le piene e quello di mitigare l’anidride carbonica. Il rimboschimento degli ultimi decenni ha di fatto raddoppiato in Toscana la superficie boschiva che oggi va considerata una preziosa sentinella ambientale piuttosto che riserva materiale in molti casi appetibile economicamente.

Ecco perché sarebbe opportuno riconoscere il diritto ad ottenere il certificato verde anche a chi coltiva, incrementa e tutela il bosco.

Ricordiamo che i certificati verdi attestano  la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e riconoscono il merito di alcuni impianti nel risparmio energetico e nel  perseguimento dell’ottica ecosostenibile che si avvale dello sfruttamento delle fonti rinnovabili per autosostentarsi energeticamente e rendersi autosufficiente dai combustibili fossili.

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