di Claudio Molinelli – La Toscana, si sa, è terra ricca di testimonianze etrusche; una campagna di scavi effettuata la scorsa estate ha confermato l’esistenza di resti etruschi a Monte Giovi, zona in rilievo tra Firenze, Dicomano e Pontassieve. Si ha ragione di ritenere che Monte Giovi, fra il IV e il III secolo a.C. facesse parte di un sistema di controllo costruito intorno a Fiesole. Sono tornati alla luce grandi blocchi di pietra che delimitavano il perimetro rettangolare della fortificazione; una cinta muraria in pietra, sostenuta da travi in legno, di 50 metri per 25, spessa due metri e mezzo. Durante gli scavi si sono trovati resti di un insediamento precedente, databile intorno al VII secolo a.C.: probabilmente un piccolo edificio di culto, forse un semplice capanno di argilla e pietra. Ai bronzetti votivi già scoperti negli anni Settanta si aggiungono ora numerose punte di ferro, presumibilmente utilizzate come offerte religiose. Gli scavi sono stati finanziati dall’Unione Comuni Valdarno e Valdisieve insieme al Comune di Pontassieve e all’Università di Firenze. L’obiettivo condiviso di studiosi e amministrazioni è quello di creare un’area archeologica riparata sulla montagna ed esporre i reperti in una mostra temporanea a Pontassieve, e poi in modo permanente nel polo museale di Dicomano.

A proposito di Etruschi l’Associazione culturale Stazione di Posta di Firenze, che tra l’altro organizza il Premio Letterario Chianti, ha promosso il ciclo d’incontri “Quattro pretesti per parlare di Etruschi”, presso il residence “La Contessina”, in Via Faenza 71 a Firenze. Le parole di Paolo Codazzi, organizzatore del ciclo e relatore del terzo incontro “La civiltà etrusca: alcune questioni ancora aperte”, chiariscono le motivazioni dell’iniziativa: “Dopo i fasti degli anni Ottanta e Novanta, la pubblicistica sugli Etruschi ha subito un forte rallentamento. L’ambizione di questa iniziativa è quella di contribuire a risvegliare l’interesse su questa civiltà, su cui si sono elaborate teorie che tuttora necessitano di conferma.”

La conferenza di Codazzi ha preso le mosse dalle fonti antiche e dalla questione dell’origine del popolo etrusco. Due tesi si contrappongono fin dall’antichità: quella di Erodoto che li vuole migrati intorno al 1400 a.C dalla Lidia, in Asia Minore, verso le coste italiane del Lazio e quella di Dionigi d’Alicarnasso, secondo cui sarebbero un popolo autoctono. Codazzi propende per la tesi della migrazione, evidenziando l’abilità navigatoria degli Etruschi, sconosciuta ai popoli italici, e la loro propensione a costruire per primi città sul mare. C’è poi la questione della lingua e della scrittura; poche sono le testimonianze scritte, per via della deperibilità del lino, il materiale utilizzato per scrivere, e, soprattutto, non ci sono tracce di letteratura. Per quanto riguarda l’edificazione delle città, l’esempio di Marzabotto, confermato dall’insediamento rinvenuto di recente a Gonfienti, nei pressi di Prato, testimonia l’utilizzo della pianta a scacchiera, ripreso poi dai Romani. Anche l’origine etrusca di Roma oggi è un fatto assodato. Infine Codazzi propone una suggestiva ipotesi a corollario dell’origine degli Etruschi: identificando Atlantide con la civiltà minoica di Creta si ritiene che venne distrutta da una rovinosa eruzione vulcanica avvenuta nell’isola di Santorini, attorno al 1500 a.C., evento alla base del mito del diluvio universale. Questo accadimento epocale avrebbe determinato una grande migrazione di popoli da est a ovest in cui si potrebbe rinvenire l’origine del popolo etrusco.

Per saperne di più l’ultimo incontro del ciclo è in programma il 2 maggio prossimo alle 17.00, “I misteri di Volterra, città etrusca (tra letterartura e cinema)” con Giuseppe Panella.