servizio a cura di Nadia Fondelli – foto di Edoardo Abruzzese –

Ormai è un tema di cronaca ed è quasi strano pensare che abbia vissuto nell’oblio per troppi anni. Un oblio purtroppo non solo mediatico di anni scellerati che hanno portato a fare oggi del verde urbano un argomento spesso di cronaca nera.
Un tema che non appassionava nessuno mentre le nostre città, lentamente, in nome del benessere e del progresso, si riempivano di cemento, ciminiere, polveri sottili e plastiche.
Le urbanizzazioni crescevano con la stessa velocità con cui oggi si critica. Altri tempi.

C’era da dar casa a chi lasciava le campagne e le nuove residenze dovevano essere in un ambiente il più possibile urbano-rurale. Si metteva un po’ di alberi e piante fra un mattone e l’altro con l’aiuto dei paesaggisti per conferire una spruzzata di verde con l’unico scopo estetico e di non immalinconire troppo i neo operai.
Così si compensava nella coscienza l’abbattimento di alberi per lasciare posto al cemento e alle lamentele dei ragazzi della via Gluck. Crescevano nuovi alberi di città fra gli spartitraffico e si abbandonavano scelleratamente i campi ai loro destini…
Erano gli anni del dopoguerra e del boom economico. E le nostre città, nella gestione del verde, si sono da quel momento cristallizzate fino a scoprirsi oggi, anche a causa dei cambiamenti climatici, pericolosamente fragili.
Eppure i dati mondiali parlano chiaro. Oggi, nonostante lo spopolamento e il ritorno in campagna di molti si calcola che nel 2030 il 70% della popolazione mondiale vivrà in area urbana e quindi un ripensamento al verde di città è più che necessario.
Anche la Comunità Europea se n’è accorta al punto di realizzare un progetto ad hoc denominato Horizon 2020 in cui si suggerisce di migliorare la resilienza degli ecosistemi e lo sviluppo di misure di adattamento e mitigazione per i cambiamenti climatici.
Si suggerisce la protezione delle città con aree verdi per assorbire gli inquinanti, intercettare le acque piovane e incoraggiare le bio diversità oltre a mappare e valutare lo stato attuale del verde urbano attraverso un piano di politiche di pianificazione.
Il concetto di verde pubblico, nato con l’illuminismo prima e la rivoluzione francese poi come simbolo di uguaglianza sociale – nel parco il proletario può liberamente passeggiare accanto al ricco possidente superando il concetto di classi sociali – oggi deve attenuare gli squilibri del degrado, il rischio ambientale e migliorare la vita dei cittadini e la loro salute fisica e psichica.

Verde come elemento determinante per la produzione di ossigeno, come filtro contro inquinamento, per la riduzione del rumore e la regimentazione della acque.
Ma al di là della cronaca come sta il verde urbano in Italia?
Non molto bene leggendo i dati Istat (focus del 24 maggio 2016) che raccontano che nel 2014 il verde urbano rappresentava solo il 2,7% del territorio dei capoluoghi di provincia e che ogni abitante ha a disposizione in media 31.1 mq. di verde.
Nel triennio 2011 – 2014 le città che hanno maggiormente ampliato il verde urbano sono state Roma (1,9 mq in più) Milano (1.1 mq.) e Rimini (poco meno di un milione). Pavia, Lodi, Cremona e Matera sono invece le città italiane con più verde urbano, ma non è messa male nemmeno Firenze.

La nostra città è quindi sopra la media nazionale della densità della aree verdi urbane, dato questo che, se da una parte fa piacere per la qualità della vita, dall’altro fa pensare di come un lavoro programmatico di buona gestione del verde pubblico sia necessario.
Siamo indietro a livello nazionale, basti dire che il censimento con banca dati delle consistenze e qualità degli alberi in città (per altro obbligatorio in virtù della legge 10/2013) ad oggi è fatto da 3 città italiane su 4 e, ci assicura l’assessore all’Ambiente Alessia Bettini, a Firenze è compiuto da tempo.
Come capoluogo della regione più forestale d’Italia qualcosa è stato fatto e lo stanno facendo. Nella Toscana dei boschi, delle pinete litoranee delle abetine storiche di Vallombrosa e dei castagneti centenari dell’Appennino dove esistono centinaia di alberi secolari da tutelare la gestione del verde è una priorità.
“Nella gestione del verde – puntualizza Antonio Ventre, responsabile area gestione, difesa e uso del territorio del complesso forestale di Rincine – va considerata anche la probabilità di caduta ed è certamente più probabile che possa cadere e causare vittime un vecchio pino malmesso fra il cemento e i marciapiedi della stazione di Santa Maria Novella a Firenze rispetto ad un castagno secolare di Moscheta, sull’Appennino Tosco-Emiliano.
Esistono molte false credenze. Sugli alberi tutti credono di sapere molto, ma tutti sanno poco. Di urban forest fino a pochi anni fa si sapeva poco e poi col tempo molte cose sono cambiate. Basti solo pensare che gli alberi sono stati piantati ai tempi delle carrozze e non c’era oppure era basata su esse, la distanza dalla carreggiata agli alberi ad esempio.
Sono state fatte poche sostituzioni progressive e poi la gestione nelle città è sempre stata un grosso disastro.
Si affida la manutenzione a ditte con poca qualifica professionale che hanno però la capacità di convincere le amministrazioni con due argomenti allettanti: meno tempo di gestione e quindi meno spesa e minor rischio di caduta rami.
La pianta di per sè ha un sistema di autopotatura e la capitozzatura fatta in tanti posti grida vendetta. Quelli non sono alberi sono pali! Un albero fra le sue funzioni ha anche quella di dare frescura e ombra nei parchi e quindi se a un albero si levano tutti i rami, oltre a indebolirlo lo si rende inutile!
Bisogna poi capire che, contrariamente al pensiero comune, gli alberi in città crescono di più e quindi hanno una vita più breve e che la loro caduta o quella dei loro rami sono eventi del tutto naturali.

Manchiamo di mentalità. A nessuno a New York, ad esempio, se cade un ramo o un albero in Central Park verrebbe in mente di fare causa al Comune!
Un parco, questo che non ho citato a caso, così come quelli di Londra, perché tutti noi li ammiriamo per le loro maestosità e naturalità. Non a caso sono infatti proprio parchi naturali che nessuno pota nè tanto meno capitozza…
La cosa però su cui invito a una riflessione è l’importanza di mitigare e contrastare i cambiamenti climatici e in questo sono fondamentali le foreste.

La gestione del verde urbano dipende quindi dalle foreste e le stesse vanno gestite non solo per la fruibilità, ma per il contrasto degli inquinanti e per il prelievo del legno.
Fa riflettere il fatto che negli ultimi 50 anni nell’Europa mediterranea esse sono più che raddoppiate. Può sembrare un dato positivo, ma non lo è perché sono foreste frutto dell’abbandono dei campi e quindi con rischi enormi per incendi, patologie e stabilità idrogeologiche.
Dobbiamo tornare ad avere consapevolezza: rispettare e gestire le foreste oltreché ricordare che l’operatore forestale è importante per tutta la società. Cosa che oggi non avviene, anzi, è considerato quasi un reietto… e pensare che invece, quasi mille anni fa, ai tempi delle Repubbliche Marinare era considerato in alto nella società perché già si sapeva che ruolo determinante avesse per il mondo…”

Noi abbiamo poca memoria e tanta saccenza. Come quella di avercela con specie che non apprezziamo, ignorando che il biotipo in città è fondamentale per assorbire meglio gli inquinanti, permettere alle api di fare onorevolmente il loro grande lavoro di equilibrio della natura, attenuare gli allergeni e alzare la resilienza delle specie arboree di città. Argomenti fondamentali che i leoni da tastiera e i criticoni perpetui ignorano.
Ma allora perché cadono gli alberi in città e perché cadono sempre più spesso lasciando nello sconcerto cittadini e amministratori?
“Sono vittime della cattiva gestione. Le potature errate o addirittura la capitozzatura devono essere interventi straordinari da effettuare per motivi precisi e dimostrati, come ad esempio la presenza di problemi fitosanitari o di sicurezza pubblica. Inoltre deve essere effettuata sui singoli rami e mai generalizzata su interi filari o gruppi, cosa che spesso succede per ignoranza o per interesse a sfruttare il legname destinato al crescente mercato delle biomasse.”
Marco Dinetti, responsabile nazionale ecologia urbana di Lipu, è anche lui convinto di questo e ci lascia con numeri che fanno pensare. “Si è calcolato che in una città costiera del centro Italia le potature drastiche effettuate sul lungomare abbiamo asportato metà del volume di vegetazione presente con perdita di servizi ecosistemici stimati fra i 160mila e i 590 mila euro l’anno! Da un altro studio si deduce che in California il valore dei benefici erogati dai 900mila alberi presenti lungo le strade valga un miliardo di dollari.”

Il verde anche come reddito? Ebbene sì, buttiamola in moneta sonante, tema che fa sempre effetto, semplicemente usando modelli disponibili in rete in open source che sentenziano come una buona gestione del verde fornisca reddito. Basta valutare il costo necessario per l’impianto e il mantenimento che oscilla fra 1,3 a 1,9 su scala mondiale. Certi modelli riportano benefici fino a 3,07 quindi, semplificando, a fronte di un euro investito in verde urbano ne rientrano annualmente da 1,3 a 3,07.
Diventare verdi e virtuosi è quindi possibile. Si può monetizzare non con scellerate gare al ribasso, ma con un uso criteriato. I cittadini e le amministrazioni dovrebbero essere coesi nel raggiungimento di un obiettivo che è bene comune e l’esempio non può che venire da Essen, città tedesca situata nel cuore della Ruhr, simbolo della siderurgia che ha visto chiudere l’ultima miniera nel 1986 e che, mentre noi discutiamo di riqualificazione di alcune città italiane post industriali oggi, a soli trent’anni da quella chiusura, si è aggiudicata il titolo di città più verde d’Europa.
470 mila abitanti, l’obiettivo di ridurre le emissioni di co2 del 40% entro il 2020, 128 mila mq. di strade asfaltate con bitume a basso impatto sonoro, sistema di gestione integrata e multifunzionale delle risorse idriche e degli spazi verdi che consente di recuperare l’acqua piovana prevenendo inondazioni e alimentando le falde sotterranee, 376 km, di piste ciclabili e il 95% della popolazione che vive a soli 300 metri di distanza da un parco o un giardino.
Un miracolo? Secondo le elefantiache burocrazie italiane forse sì, ma l’illuminismo di amministratori e cittadini nel prevedere la città smart del futuro deve andare a braccetto e non a coltelli, come invece avviene nella sempre litigiosa Firenze.
Ne abbiamo parlato anche con Riccardo Ferrari, professionista del settore, arbicoltore certificato treeclimber e formatore. “Il problema della gestione del verde in città ha delle lacune – esordisce. – La prima è senza dubbio culturale. La popolazione è profondamente ignorante riguardo alla gestione degli alberi e non comprende l’importanza dei tagli quando necessari. Dovrebbe invece spronare l’amministrazione a investire su personale formato invece di seguire le logiche del massimo ribasso. I lavori vengono gestiti con gare alla meno e le conseguenze sono fin troppo evidenti…
Un albero potenzialmente pericoloso del resto non può essere riconosciuto ad occhio. E’ necessario affidare ad esperti il monitoraggio che viene fatto anche con l’ausilio di strumenti specifici, anche se un professionista può “leggere” rapidamente la propensione allo caduta in molti casi.
Le (male) gestioni degli alberi negli ultimi cinquant’anni hanno influito con l’acutizzarsi del problema anche se a dire il vero in Italia esistono da tempo tecnici, operatori e dottori che possono fare la differenza. La domanda casomai è: vengono queste professionalità coinvolte dalle amministrazioni?

Dottor Ferrini, come se la passano a suo avviso gli alberi in città?

Non bene. Gli alberi che vivono nei viali cittadini altamente trafficati e posti in mezzo all’asfalto devono gioco forza essere sostituiti con turni programmati e il periodo che intercorre per la sostituzione dipende anche dalla specie.
Importante è piantare alberi giusti a secondo dei luoghi, ad esempio in un viale trafficato ha un alto rischio mentre in un prato in mezzo a un parco ben isolato ha rischi nettamente inferiori.
L’arboricoltura urbana può essere un’ ottima fonte d’impiego, ma è necessario consegnare questo patrimonio che già rende, in termini di risparmio energetico e di salute, solo a chi fa di professione l’arboricoltore”.
Se, comunque, vogliamo rassicurare i criticoni, facendo loro capire che a Firenze sbagliano, ecco i numeri che fanno sempre sensazione. Nonostante tre eventi atmosferici fuori dal Comune (settembre 2014, marzo e agosto 2015 che hanno portato alla perdita di circa 3000 piante) dal 2014 ad oggi l’Assessorato all’ambiente ha piantato 1200 nuovi alberi nel parco delle Cascine e 5000 in totale in tutta la città con una previsione di chiudere a fine mandato con 10.000 grazie al contributo del Parco del Mensola e dell’accordo di programma “bosco della piana” con la Regione Toscana.
Chiudiamo con una certezza e tante riflessioni. La certezza è che fare cultura deve essere il mantra per gestire nella maniera più appropriata la foresta urbana.

Le riflessioni sono molte e le lasciamo al lettore!