– servizio a cura di Giuseppe Ponterio –

E’ la musica, ancora una volta, il passe-partout dell’emozione e, al tempo stesso, della speranza.

La combinazione ottoni e voci ci riporta agli albori della storia della musica veneziana ed è da questa musica che abbiamo voluto ripartire per la nostra rinascita”.

Con queste parole del sovrintendente e direttore artistico de La Fenice di Venezia, Fortunato Ortombina, il teatro riapre i battenti .

Ad inaugurare la serata, il 5 luglio scorso, è stata la “Fanfare for the common man” di Aaron Copland, un brano scelto soprattutto per il suo contenuto simbolico: il testo musicale, infatti, fu realizzato nel 1942 per onorare un “uomo comune”.

In questo caso “l’uomo comune” o meglio “gli uomini , e le donne …comuni”, cui il concerto è stato dedicato, sono i medici e gli infermieri, quei professionisti che hanno lottato e che continuano a lottare in prima linea contro il Corona virus, più volte a costo della vita stessa.

Di retorica ne è stata fatta tanta!

Tuttavia, a mio avviso, l’elemento di novità assoluta, e che mi ha particolarmente emozionato, riguarda l’allestimento interno dell’area del palcoscenico. Qui infatti, è stata realizzata l’ossatura lignea di un’arca, sulla quale sono state collocate le sedute destinate a circa settanta spettatori, al fine di garantire un adeguato distanziamento .

Perchè l’immagine di un’arca? Io credo si voglia trasmettere l’idea, quasi biblica, di un’imbarcazione che traghetta il mondo del teatro nel futuro e al tempo stesso riconduce al simbiotico rapporto tra la città e il mare, fattore di identità.

Un’installazione semi permanente che ha rivoluzionato il passato per gridare al mondo presente: “Venezia è viva”! Un grido che si fa musica, musica di ottoni e voci, elementi fondativi della tradizione musicale veneziana… E’ come se la città ripartisse dalle sue origini, l’uccello mitologico capace di rinascere dalle proprie ceneri…

E’ vero che il Covid-19 ha stravolto completamente le nostre vite, ha cambiato le nostre abitudini, il nostro sistema di socializzare e, non ultimo, il modo di rapportarci con la città e con i luoghi che ne costituiscono l’anima; ma è altrettanto vero che il virus, e le misure adottate per contenerlo, offrono l’opportunità al genio e alla creatività che ci appartiene di riflettere sulla rimodulazione e sul riadattamento di realtà esistenti o di realizzarne ex novo, in virtù di inattese necessità.

L’esigenza primaria resta, comunque, quella della fruizione, tema cruciale per custodire e sviluppare, a tutti i livelli, quella cultura della bellezza che contraddistingue da secoli il nostro Paese.