di Nadia Fondelli –
C’era una volta un giardino segreto. Potrebbe essere questo l’inizio perfetto e accattivante del mio articolo. Potrei sviluppare un racconto fra l’onirico e il magico per prendervi per mano e condurvi alla scoperta di un giardino ‘vero’ di Firenze e realmente segreto.
Potrei, ma non lo faccio.
Ho deciso di lasciare da parte la narrazione fiabesca perché poco consona. In realtà cammin facendo ho scoperto che al di là di quel muro di cinta, zona Campo di Marte, che da bimba mi affascinava nella sua invalicabilità c’è poca poesia e tanta prosa, troppa forse.
Allora ho pensato che seguendo l’olfatto avrei trovato la chiave di lettura giusta.
Il naso che segue il bello e il buono della nostra città mi ha portato già alcuni anni fa a conoscere il Giardino Tropicale dell’Istituto Agronomico dell’Oltremare grazie a una speciale partnership realizzata con l’elegante manifestazione “I profumi di Boboli”. Fra i tanti profumi dell’eccellenza italiana in passerella quell’anno mi attirò l’aroma di caffè che l’istituto aveva portato con sè in mostra e in dote. Del resto un’ istituzione statale da oltre un secolo vocata a importare alle nostre latitudini profumi esotici non poteva che scegliere l’aroma avvolgente e rassicurante della tazzina preferita dagli italiani per farsi conoscere.
Alcuni anni più tardi, e siamo all’oggi, la manifestazione “I profumi di Boboli” ho scoperto che si sarebbe realizzata proprio in quel magico giardino segreto che sospiravo da bambina. All’ombra di banani, palme, alberi di cotone.. sarebbero stati i gazebo degli espositori e quel muro di cinta che divide il mondo dell’istituzione dagli occhi dei cittadini sarebbe crollato.
Con entusiasmo divulgai la notizia nella certezza che tanti avrebbero saputo e poi visto che quel palazzo misterioso di fronte all’Istituto dei ciechi celava la magia dell’affascinante mondo delle colonie che furono e delle cooperazioni internazionali che sono.
Poi, a pochi giorni dal via la doccia fredda. Anzi la tazzina avvelenata.
L’organizzazione con un sintetico e asettico comunicato mi informava che non ci sarebbe stata più la manifestazione e che i cancelli del giardino sarebbero rimasti saldamente serrati.
L’odore che ho sentito a quel punto è stato di caffè bruciato. Quel caffè che sarebbe dovuto essere il filo conduttore de “I profumi di Boboli”. Non si annulla un evento programmato e promosso alla vigilia!
Rimaneva un’ opzione. Una mezza giornata autonomamente già programmata dall’istituto per far conoscere la sua scuola del caffè. Un open day non promosso e non pubblicizzato che avrebbe svelato agli astanti la produzione dei caffè di montagna centroamericani che l’Istituto Agronomico dell’Oltremare sostiene e lautamente finanzia con un programma pluriennale alla faccia di chi – anche nelle alte sfere romane – lo ha catalogato fra gli enti inutili.
Chiudere però le porte di una manifestazione conosciutissima che ogni anno vede oltre tremila visitatori per lasciare aperto un pertugio a quattro gatti odorava davvero di bruciato.
Mio dovere di mestierante era capire per raccontare anche perché dover rettificare una notizia già uscita non è mai facile.
Parlando però con il direttore generale e il direttore amministrativo a cui avevo chiesto udienza sono rimbalzata contro un muro di gomma. Con gentilezza e parlata studiata, nonostante il mio incalzare con domande maligne, tutto è rimasto vago.
La stessa sensazione di vaghezza e smarrimento che mi hanno dato quei quattro piani di uffici per lo più tristi e vuoti. Ma allora hanno ragione le alte sfere romane?
Perché la scuola di caffè che insegna ai produttori centro americani il mondo dell’espresso in cambio di caffè a prezzo calmierato vede fra i suoi docenti solo un ristretto numero di produttori privati?
Come possono gli stessi fare il bello e il cattivo tempo e firmarsi come elementi interni all’istituto?
Perché ad altri torrefattori non si schiuda mai la porta d’accesso al giardino magico?
Le risposte ricevute dai due altissimi funzionari sono state alcune assolutamente no e un po’ troppi sì e ma…
Ci ho bevuto molti caffè sopra e ho fatto passare dei mesi in attesa del secondo open day per avere conferme o smentite.
Le conferme sono state alcune: la scuola del caffè e la cooperazione coi produttori centro americani appare davvero come un circolo chiuso dove alcuni produttori privati fanno il bello e il cattivo tempo coi soldi pubblici; il secondo open day è stato decisamente più affollato del primo permettendo (finalmente) a tanti fiorentini di conoscere questa realtà, ma peccato solo che questo pare sia il risultato ottenuto sfruttando parassitariamente la comunicazione della manifestazione non fatta.
L’ultimo caffè che ho bevuto, annusando con attenzione il suo aroma, mi è parso (s)corretto.
Tutte queste stranezze dove il pubblico gioca col privato e poco privato gioca con tanto pubblico non sarà perché il caffè è, dopo il petrolio, la materia prima più commercializzata al mondo, peraltro quotata in borsa?