di Sergio Bedessi – E’ venerdì 28 maggio 2010, il sito internet del Comune di Scandicci pubblica: “A luglio inizierà l’abbattimento di 80 piante in Piazzale della Resistenza per realizzare la nuova piazza e l’auditorium progettati da Richard Rogers ….”, e continua “…con l’allargamento del cantiere per il nuovo centro verranno abbattuti tutti gli alberi presenti nel Piazzale della Resistenza”.

Emblematico il fatto che si tratti della stessa amministrazione comunale i cui componenti protestano magari per il taglio degli alberi della foresta amazzonica, una amministrazione comunale palazzinara, affetta da mania compulsiva di cementificazione.

Un “centro” Rogers nel quale ci si scorda il rapporto dell’uomo con il proprio territorio di appartenenza, con l’esistente architettura, con la collina circostante, con la natura e gli alberi, una architettura che ci tramuta tutti in improbabili avatar di SecondLife.

Sorge immediata una domanda: perché l’amministrazione comunale di Scandicci ha scelto un architetto inglese quando in Italia certo gli architetti non mancano?

Rogers. Un architetto (cfr. Repubblica) sul quale Elie Wiesel, premio Nobel per la pace ha dichiarato: “Ritengo che Rogers debba rinunciare ai contratti, se è vero quello che si dice”. Un architetto che si è visto fermare tutti gli altri lavori in Italia (lo stadio di Mantova, il progetto di riqualificazione dell’area ex Alitalia alla Muratella a Roma, le ex Officine Adige a Verona) a causa del cambio delle Giunte Comunali, ma che a Scandicci, ormai divenuta patria della cementificazione in stile SecondLife, trova la sua apoteosi. Un architetto criticato dalla stessa Corona Britannica per il progetto da lui redatto (finanziato dallo sceicco del Qatar) di realizzazione di un enorme e brutale edificio accanto ad una architettura secentesca di Christopher Wren.

Così, e non solo a Scandicci, continua la strage di alberi che da anni l’amministrazione comunale da una parte, e i privati dall’altra, perpetrano.

Utilizzando come pretesto una pericolosità tutta da dimostrare, e che quando esiste è dovuta alla manutenzione oramai inesistente, tanto dei privati quanto del pubblico, e complice qualche acquazzone torrenziale e qualche grandinata la strage non si ferma, ed anzi si rinnova giorno dopo giorno.

Anche oggi, ad esempio, in via Salvador Allende, una strada di una zona a verde, la strage ha luogo [foto]; il rumore delle motoseghe è assordante ed è un rumore di morte non solo per i poveri alberi, ma per i nostri figli, perché come dice un pensiero Cheyenne “Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.”.

Chi dovrebbe controllare non controlla, salvo che quando viene tempestato dalle proteste, e giustifica anche l’ingiustificabile, come nel caso di un cedro, così pericoloso da dover essere abbattuto addirittura dai Vigili del Fuoco, accorsi a sirene spiegate, e che a distanza di anni è ancora sul posto, a riprova che si tratta di trucchi e trucchetti per cementificare l’impossibile.

Bisognerebbe, poi, terrogarsi maggiormente sui rapporti fra architettura dei nostri tempi e forme finanziarie di realizzazione di quella stessa architettura, magari interrogandosi anche sui soggetti che stanno dietro a quei finanziamenti; forse si arriverebbe alla conclusione che, al di là delle parole di giustificazione estetica, come quelle utilizzate dallo stesso Rogers per il centro di Scandicci (“Speriamo di aver segnato un cambiamento e indicato una nuova direzione per i prossimi 20 anni di sviluppo di ScandicciCredo che abbiamo creato qualcosa di veramente speciale e spero che l’eredità di questo progetto continui a svilupparsi per molti anni a venire”) vi sono messaggi subliminali utili solo a giustificare scelte di indirizzo urbanistico che sono essenzialmente finanziarie, e sono fatte sulla pelle dei cittadini che nulla sanno.

In questo contesto l’abbattimento degli alberi è funzionale solo a desertificare il tessuto urbano, in modo tale che sia poi più semplice e giustificabile operare inserimenti architettonici sempre più massicci, nella solita vecchia logica che fare e disfare è tutto un lavorare.