di Sergio Bedessi – L’Agenzia Nazionale Stampa Associata, ben conosciuta con l’acronimo ANSA e fondata nel 1945, è la principale agenzia di stampa italiana, fra l’altro una delle più importanti al mondo; strutturata come una cooperativa di editori dei principali quotidiani italiani, ha lo scopo di raccogliere e trasmettere notizie sui principali avvenimenti italiani e internazionali.

Ogni giorno milioni di persone non solo in Italia, ma nel mondo, consultano il web-site di ansa (http://www.ansa.it) per consultare notizie e, spesso, anche per riutilizzare tali notizie per altri articoli o predisporre rassegne stampa per organi governativi o aziende private.

Malgrado la storia gloriosa ed il fatto che l’agenzia ANSA goda di un notevole prestigio, e a dispetto che la stessa agenzia sia certificata da ben due enti di accreditamento (Accredia e Bureau Veritas) che dovrebbero avere un minimo di controllo sulla qualità del lavoro, spesso si possono notare sul web-site strafalcioni ed errori madornali tali da far inorridire anche un maestro elementare.

Quello che ci si aspetterebbe da una agenzia nazionale di stampa, che in qualche modo costituisce un riferimento un po’ per tutti gli organi di informazione , è prima di tutto la precisione, non solo riguardo alla notizie fornite, ma anche in merito a come queste notizie vengono riportate.

Qualificarsi come agenzia nazionale significa anche essere il portatore dell’immagine dell’Italia nel mondo, e quale immagine si può mai avere quando ci troviamo di fronte a tali svarioni?

In un articolo che parla di un libro intervista del Papa Francesco, in bocca al Papa viene messo un vero e proprio sfondone: parlando della autoreferenzialità della Chiesa, paragonandola a quella di una persona, viene detto “succede come ad una persona autoreferenziale: diventa paranoica, autista”.

Autista? Ma quale autista!!! Il Papa avrà detto sicuramente “autistica” riferendosi all’autismo, quel comportamento di rifiuto delle relazioni sociali dovuto ad un disturbo neurologico psichiatrico; sulle prime, essendo il Papa non italiano, si potrebbe avere il dubbio che la scarsa padronanza della lingua potesse essere dovuta a questo, ma non è così e come si avrà modo di vedere nella prosecuzione di questo articolo, si osserverà che lo scadimento della lingua italiana rilevabile negli articoli dell’ANSA è dovuto all’ANSA stessa e non all’idioma di Papa Bergoglio.

In un altro articolo, relativo ai disordini accaduti nell’anno 2013 in Egitto, si può leggere che “… i manifestanti hanno appiccato le fiamme alla sede del governatorato …”; Manzoni si rivolterebbe nella tomba ad ascoltare un simile uso della lingua italiana.

Infatti si appicca il fuoco, ma non le fiamme, che sono solo l’effetto esteriore visibile del fuoco.

Questa disinvoltura nell’utilizzazione dei verbi, che supera di molto la licenza poetica, è tanto più visibile quanto più l’evento descritto è in sé abbastanza banale; sarà forse uno stratagemma di chi scrive per attirare l’attenzione su eventi che, tutto sommato, non avrebbero grande importanza?

A proposito del presidente degli Stati Uniti d’America che si diletta nel tirare al piattello, in un articolo si dice “Barack Obama, in jeans, maglietta nera, cuffie alle orecchie, che abbraccia un fucile e spara al piattello …”.

 

La scena di Barack Obama che “abbraccia” teneramente un fucile, quasi fosse un bambino, non corrisponde certo alla fotografia del presidente che, imbracciato il fucile spara ed il fumo esce dalla canna del fucile stesso; chi ha scritto l’articolo dovrebbe sapere che il fucile si “imbraccia” non si “abbraccia”.

Si abbracciano i bambini, le donne, ed ancora gli uomini, i familiari, i parenti e gli amici, e pure gli sconosciuti in alcuni casi, ma non i fucili o altri attrezzi del genere.

Oltre all’uso disinvolto dei verbi, qualche volta chi scrive sull’ANSA ne inventa di nuovi o, meglio, recupera modi di dire cinquecenteschi: come quel “ripartorno” probabilmente utilizzato al posto di “ripartono” (presente), ma che ben potrebbe essere l’arcaico di “ripartirono” (passato remoto).

Talvolta dai verbi arcaici si passa all’uso enfatico degli aggettivi: è notorio come la Corte di Cassazione sia chiamata anche “Suprema Corte”, per enfatizzare il ruolo che questo consesso ha, di decisione ultima, in via di legittimità e non di merito, relativamente alle cause legali.

Ed ecco che l’articolista però fa divenire la Suprema Corte, addirittura la “Somma Corte”, scordandosi che l’aggettivo “sommo” è più adatto al Sommo Pontefice che ad una corte di giustizia.

Sempre rimanendo nel campo della giustizia quelli che nel titolo sono “Sei pareri pro-veritate” (a favore della verità) divengono nel testo dell’articolo “6 pareri pro-evitate”; al di là che chi scrive dovrebbe aver un minimo di conoscenza stilistica della lingua italiana, tale da fargli escludere l’uso delle cifre (“sei” e non “6”) nel discorso, ma i pareri “pro-evitate” non esistono.

Sarà stato indotto forse in errore dal fatto che i pareri Berlusconi si li era fatti predisporre appunto per evitare (da qui “pro-evitate”?) una condanna?

Ma al peggio non v’è mai fine, ed in un altro articolo si può leggere delle ricerche di una povera ragazza rapita da un sequestratore e di come queste ricerche si siano “contratte”, anziché “protratte”, in questo modo ingenerando nel lettore più l’idea di una riduzione di queste ricerche sul territorio, piuttosto che di un allungamento nel tempo, come dovrebbe essere.

L’elenco sarebbe innumerevole, con esempi anche più eclatanti, fra i quali una sanzione “irrorata” invece che “irrogata”, un “cristo” scritto in minuscolo in barba ad ogni rispetto e non solo religioso, il caos che cambia sesso (“caos economica”) e così via.

Cosa dire?

Forse che davvero l’ANSA rappresenta l’immagine di un’Italia che, pur portatrice di grandi potenzialità, le esprime in modo così sconclusionato da apparire in decadenza.