– a cura del direttore –

E’ trascorso un mese dal crollo del ponte di Genova, OrientePress ha taciuto fino adesso per l’esigenza, quasi straziante, di silenzio interiore.

Adesso un mese è passato… le famiglie di tutte le giovani vittime cercano disperatamente di metabolizzare il lutto, gli sfollati chiedono di poter recuperare il proprio mondo di piccole cose rimaste nelle case abbandonate, in attesa di una nuova casa che non sarà mai la “loro casa”, le istituzioni, tecniche e politiche, scoppiano a ridere mentre cade il piccolo plastico del nuovo progetto..

Noi abbiamo scelto di intervenire, ora, attraverso uno stralcio delle parole pronunciate dal Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, durante le esequie dei quattro ragazzi di Torre del Greco, nella speranza che possano servire in qualche modo alla “ricostruzione” !

 Un pezzo di futuro perduto che impoverisce tutti noi.

Sono vittime innocenti della natura? Certamente no; della malattia? Nemmeno, perché giovani pieni di energie; sono vittime innocenti della imprudenza? Manco a pensarlo, perché giovani ben formati e rispettosi delle regole.

Sono vittime innocenti del destino? Ma il destino non esiste, perché Dio ci ha creati liberi, liberi di fare le nostre scelte, di vivere la nostra vita, di campare anche cento anni e oltre.

Qualcuno dice che è il momento del dolore e del lutto e non dobbiamo pensare alle cause e ai responsabili. E’ vero, ma è altrettanto vero che può essere un ragionamento fuorviante, elusivo e quasi di comodo.

E’ giusto, viceversa, che ci poniamo degli interrogativi e che ci domandiamo perché è accaduto, non per fare del giustizialismo e del sensazionalismo, ma perché abbiamo il dovere di saperlo per il rispetto che dobbiamo a chi ha perduto la vita e alle loro famiglie.

E dobbiamo saperlo, perché la vita è sacra, va difesa e va rispettata da tutti, sempre e in ogni modo. Interrogarci significa rispettare la vita di Giovanni, Matteo, Gerardo e Antonio e, con loro, la vita di tutte le altre vittime del crollo.

Non si può morire per negligenza, per incuria, per irresponsabilità, per superficialità, per burocratismo, per inedia. Anche questo è violenza, violenza contro la persona, violenza contro l’umanità, violenza contro la società.

Che cosa si può dire a una mamma, a un figlio, a un marito, a una moglie, che vivono nel dolore per la morte assurda di una persona tanto cara? Quali parole possono essere di conforto? Quale motivazione o giustificazione si può addurre? C’è in loro un rifiuto assoluto di ogni tentativo di ragionamento, perché quella persona, morta per colpa non sua, era carne della loro carne, doveva essere la continuità di un progetto di famiglia, perché espressione di un vincolo di amore profondo, voluto e fatto crescere per proiettarsi nel futuro (…).

La morte del giusto non è mai vana, ma è spinta al cambiamento,è viatico per vita nuova di una società più giusta e più umana. (…)”.