– a cura della redazione di OrientePress –

In Toscana la quota di giovani fra i 15 e i 29 anni che risultano disoccupati tocca il 23% (in Italia il 30%), la quota dei laureati fra 30 e 34 anni è del 29%, appena un punto sotto il traguardo che si era posto il Piano regionale di sviluppo 2016-2020 . Ma se in Europa avere una laurea aiuta a trovare lavoro, facendo aumentare di 8 punti il tasso di occupazione e di 140 punti il reddito, in Italia – e anche in Toscana – ciò accade in misura minore: il tasso di occupazione aumenta di 4 punti per la laurea, il reddito di 122 punti.

Aumentare le competenze, investire sull’istruzione e la formazione, indirizzare un maggior numero di ragazzi a proseguire gli studi e intraprendere i percorsi successivi all’istruzione secondaria è quindi indispensabile, ma non basta. Così come non sarà sufficiente uscire dalla crisi economica per creare nuovi posti di lavoro per coloro che si affacciano per la prima volta sul mercato. I numeri parlano chiaro: nel 36% dei casi, in Toscana (40% in Italia), la disoccupazione non è legata all’andamento negativo del ciclo economico ma è attribuibile al cattivo collegamento fra sistema formativo e lavoro.

L’Istituto per la programmazione economica che, per la Regione, ha condotto una ricerca. Partendo da questi dati di fatto, Irpet prova a capire i bisogni delle imprese dinamiche, quelle che trainano lo sviluppo e, analizzando questi bisogni, cerca di trovare un modo per far dialogare il sistema dell’istruzione e della formazione con il mercato del lavoro.

I settori presi in considerazione sono: turismo, agribusiness, logistica, Ict, farmaceutica, meccanica, carta, marmo, nautica, moda (cuoio, tessile, pelletteria orafo). Il 40 per cento delle imprese analizzate lamenta problemi con i neo assunti: scarse competenze tecniche specifiche e spesso, scarse competenze di base (lingue, informatica). Il 28 per cento delle imprese cerca competenze più avanzate fuori dalla Toscana.

Per quanto riguarda le figure professionali ritenute strategiche dalle imprese, il fabbisogno risulta in crescita soprattutto per i tecnici specializzati (artigiani, operai, ma anche periti e ingegneri). Molto meno richieste le figure direzionali e amministrative.

La definizione del fabbisogno appare molto differenziata, a seconda della filiera produttiva. In sostanza le imprese esprimono l’esigenza di una professionalità su misura.

Se il turismo reclama manager, esperti di social media e analisti di mercato nonché competenze trasversali informatiche, marketing designer, ecc) da affiancare ai ruoli tradizionali, l’agribusiness punta a qualificarsi cercando professionisti di grado più elevato (veterinari, agronomi, alimentaristi, chimici, scienziati dell’alimentazione), così come il settore della logistica, che necessita prima di tutti di figure di alta formazione (ingegneri, esperti di gestione, sostenibilità ambientale). E se per Ict è difficile prescindere da informatica e matematica, si cercano tuttavia anche ingegneri delle telecomunicazioni, mentre la chimica punta all’altissima formazione, richiedendo figure con titoli anche superiori alla laurea.

La meccanica cerca operatori pluriqualificati, sia per la parte produttiva, che per quella di management (diploma o, preferibilmente, qualifiche post diploma ). Nel settore della carta, la figura dell’operaio generico tende a scomparire per fare posto a competenze tecnico-specialistiche (meccanica, informatica, biologia, chimica). Il marmo, come in genere tutti i settori che puntano ad innovare, ricercano disegnatori, programmatori, esperti di web marketing nonché figure di alto livello.

Variegatissimo il sistema moda, dove resta centrale il processo produttivo, ma dove sempre di più si ricercano professionalità in grado di legare la conoscenza della singola filiera con il territorio e la capacità di anticipare tendenze e bisogni, progettare e creare, anche in relazione con la vocazione all’export. Le piccole e micro imprese (come quelle dell’orafo, ma anche del tessile e della pelletteria) in generale sembrano aver bisogno di personale in grado di aggiornarle nell’uso delle nuove tecnologie, del web, ecc. e per gestire il rapporto con la subfornitura e le relazioni esterne.

Una volta appurato il fabbisogno delle imprese, lo strumento ideale per farvi fronte è l’orientamento. Un dato su tutti mostra il parziale scollamento fra istruzione e lavoro: gli iscritti alle facoltà scientifiche continuano ad essere pochi, anche se a tre anni dalla laurea trova lavoro il 43% (a fronte del 20% delle facoltà umanistiche).

La scelta dei percorsi di istruzione e formazione da parte dei ragazzi dovrà tener conto di queste opzioni. Il sistema formativo nella definizione dell’offerta dovrà tenere le antenne tese verso le esigenze delle imprese e puntare su contenuti tecnico-professionalizzanti, potenziare strumenti come stage, tirocini, alternanza scuola-lavoro, trovare momenti di dialogo diretto, articolato nel territorio, fra scuole, università, agenzie formative da una parte, imprese e studenti dall’altra.

Su questa linea, ridurre al massimo la distanza fra agenzie formative ed imprese, recente l’impegno della Regione Toscana che attraverso l’iniziativa “Orienta il futuro” ha riunito al Palaffari di Firenze ragazzi delle superiori e dell’università da tutta la Toscana impegnati in laboratori e incontri con le aziende.