di Nadia Fondelli – Foto di Edoardo Abruzzese –

Le stelle nel firmamento del vino toscano brillano. I dati sull’export
vincolo sono entusiasmanti, ma non è tutto oro quello che luccica.

Molto spesso uno zircone ben intagliato abbaglia gli occhi più di un
autentico brillante e così succede nel vino che, non a caso, anche
l’assessore Remaschi nella conferenza di presentazione della lunga
settimana delle anteprime di Bacco ha definito “la locomotiva
dell’agroalimentare della regione”.

A livello export i risultati, rimanendo ai paragoni astronomici, sono
davvero a cinque stelle. La Toscana si colloca al secondo posto
nazionale per valore di esportazioni dopo il Veneto e prima del
Piemonte. La quota vino regionale nel panorama italico passa dal 14,8%
del 2014 al 16,7% del 2015 e addirittura, dal 2003 ad oggi, nonostante
la congiuntura economica negativa e due annate non troppo favorevoli
il commercio estero è aumentato del 102,4%.

Tornano a volare i mercati nord americani (+15,8%) ed europei (+5,6%),
molto lunatici i paesi del BRIC con il Brasile che scende del -28,4% e
la Cina che cresce del +32,4%. Ma ciò che sorprende sono Paesi
emergenti anche difficili da immaginare come l’India che cresce del
+120% e il Sud Africa del +140,8%. Ottime e insperate performance
anche da parte di Nuova Zelanda con +19%, Israele +32,1% e perfino
Emirati Arabi Uniti con un sorprendente +11,5%!

Ma anche i bianchi di Toscana meno famosi e popolari segnano cifre a
doppio zero e stesso risultato lo aspettiamo a breve anche per i
rosati che stanno prepotentemente tornando ad essere presenti nel
corredo delle principali casate vinicole dopo un oblio di decenni
grazie al loro mix di profumi, sapori e leggerezza che li rendono
perfetti per ogni stagione e circostanza.

Le giovani generazioni, i cosiddetti “Millennians” nel modaiolo mondo
del vino vedono la Toscana come punto di riferimento e questo fa
prevedere un futuro radioso. Beati loro. Chi invece, come chi scrive,
ha qualche capello bianco, ha visto il vino passare dai bassifondi ai
caveaux e dopo migliaia di degustazioni sul palato non confonde ormai
gli zirconi con i diamanti.

Guardando più da vicino il nostro territorio Valdarno Valdisieve
presente all’Anteprima del Chianti anche con la sua sotto-zona più
preziosa, il Chianti Rufina, le performance sono di tutto livello e si
allineano ai dati regionali senza farsi sorprendere troppo dalla
“nuova vita” dei paesi arabi che, guardando all’internazionalità, si
fanno più goderecci e dal fatto che una denominazione così importante
e caratteristica che rappresenta un territorio intero sia priva di una
comunicazione efficace ed abbia un sito internet (principale e
fondamentale vetrina per l’export) di fatto fermo al 2013.
Aspettando le nuove annate 2014 e 2015 del Chianti Rufina nel
frattempo, degustando per le altre denominazioni in anteprima, non ci
siamo lasciati troppo affascinare dai pomposi proclami festaioli e i
budget da capogiro che accompagnano i 300 anni del Chianti
Classico e al bicchiere ci siamo annoiati come ormai tradizione da
molti anni.
Verrebbe da dire che serve più personalità e coraggio, ma ci siamo
annoiati anche di ripetere questo.
Siamo invece rimasti favorevolmente sorpresi dagli altri vini, quelli
meno osannati e con budget promozionali senza troppi zero che, ligi
alla tradizione, propongono ancora sapori autentici e caratteriali
infischiandosene della ruffianeria di circostanza. Su tutti segnalo il
Vin Ruspo di Carmignano straordinario esempio di rosato emergente e il
vino minerale vulcanico del Montecucco dell’Amiata.

Edoardo Abruzzese, Anteprima del Chianti, Firenze 2016